Un'attesa carica di adrenalina, mista a un timore reverenziale: è con questo stato d'animo che ci si è avvicinati a "The Vigil", l'ultima, affascinante fatica nata dall'incontro tra due giganti della musica alternativa, Hugo Race e Gianni Maroccolo. Quando personalità artistiche di tale caratura si fondono, il rischio è di un urto, ma il successo, come in questo caso, regala un'opera il cui valore supera la pur notevole somma delle singole parti. Un capolavoro che esplode con l'intensità di una verità a lungo taciuta.
"The Vigil", ovvero La Veglia, non è un semplice disco: è il Decameron del terzo millennio, una raccolta di storie di anime ferite, unite dal comune denominatore del tradimento subito per mano di uno scientismo neo-positivista. Eppure, in questa notte buia dell'anima, resta accesa una brace: la speranza che, al termine della veglia, l'alba porti con sé una nuova, laica redenzione.
La disamina dei brani è un viaggio senza sconti nel cuore pulsante dell'inquietudine contemporanea. L'incipit non è casuale: "Never surrender", grido icastico della title track, è un manifesto di resistenza. Si prosegue con "Phoenix", che evoca il mito per aspirare a una resurrezione laica, liberando il desiderio dalla gravità terrena.
L'impianto si fa denuncia in "Soldiers" e "La Pace" (l'unico in italiano), dove la voce di Race, tra talking blues e spoken words, si fa megafono drammatico contro l'indottrinamento. Siamo combattenti ciechi contro un nemico la cui vera natura ci sfugge. Un verso, in particolare, risuona con drammatica attualità: “Sai cos’è la pace? No / Nemmeno io / Una volta che scappa via non torna”, sigillato da una beffarda, amara risata.
Con "Pandora" si entra nel territorio dell'ermetismo, in una spiritualità che si fa "cosmica". Poi, il dialogo minimale e sognante di "Where Does The Night Go" – con la voce di Race, il piano di Antonio Aiazzi e l'elettronica – sfocia in un messaggio inquietante: “Everything has changed / Outside’s unfrozen / But we’re not the same / All the doors blew open / And the walls shake, is it too late? / Feel the heart burn / Sense the worm turn in its cage / Morning is broken”. Subito dopo, la strumentale "Duro Duro" ci avvolge, passando da atmosfere desert-rock e western a una crescente inquietudine generata da chitarra twang ed elettronica.
Il finale, tuttavia, si apre a un respiro arioso, quasi fondendosi con la reprise strumentale di "Phoenix". Un barlume di speranza, un flebile ma ostinato ottimismo per il futuro di un'umanità così dissestata, sembra poter intravedere l'alba.
Musicalmente, "The Vigil" è la perfetta sintesi delle abilità dei due artisti. Se la fascinosa voce di Race e il suo songwriting (come nell'inizio di "Where The Night Goes", degno dei suoi Fatalists) a tratti sembrano dominare, il lavoro di Maroccolo, con il suo inconfondibile basso e l'uso sapiente dell'elettronica, è la spina dorsale, il contrappunto essenziale.
Questo è un gioiello oscuro che esige, e merita, più di un ascolto. "The Vigil" non è un disco da sottofondo, ma un'opera complessa che, se le si dedica il giusto tempo, ripaga con una profondità emotiva e intellettuale rara. Non ve ne pentirete.
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