Ci sono casi nella vita in cui essere figli o fratelli non è proprio considerabile una gran botta di culo.
Vale per Luigi Grechi, per Cristiano De Andrè, per Julian Lennon. E vale soprattutto per Giorgio Conte.

Tutti quelli citati sono buoni, a volte ottimi, artigiani della musica d’autore. Alcuni hanno grandi idee, altri talento evidentemente genetico e fuori dal normale. Giorgio Conte è cresciuto col fratello, ed è bello pensare a quella casa di Asti. A quei due ragazzi, uno al piano e l’altro alla chitarra. È bello immaginarsi anche quei due genitori. Per il tradizionale principio che i frutti non cadono mai troppo lontano dall’albero, evidentemente dovevano essere due bei numeri. Fatto sta che i fratelli Conte hanno scritto insieme la bellissima “Una Giornata Al Mare” e pare null’altro. Paolo ha scritto per i grandissimi e per le grandissime, esponendosi poi in prima persona e riuscendo, pian piano, a conquistare quella fetta di mondo fatta di persone di buon gusto.

Giorgio è rimasto in osteria, e non si è allontanato tanto dall’Italia. Qualche fughetta in Francia e in Svizzera, e poco d’altro. Capita di sentirlo anche nei teatrini di provincia, nelle piccole ex società operaie che trovi nelle strade provinciali che tagliano le nebbie del nord. E le sue sono canzoni conviviali, allegre, immediate. Da osteria, appunto. E, alcune, profondamente belle.
L’ironia, come si diceva, è di casa dalle parti dei Conte. E se Paolo, genio dell’uso della parola, gioca con le frasi da vero mago, Giorgio è più diretto, più schietto, più apparentemente facile. Ma con un piemontese non bisogna fermarsi né alla superficie, né ai giudizi immediati o affrettati. I dischi di Giorgio Conte sono (tutti) molto belli, con momenti di divertimento, di commozione, di puro incanto musicale. Questo disco è perfetto per chi al fratello piccolo del grande Paolo non si è ancora avvicinato, quanto lo è anche per chi di Giorgio ha l’intera produzione e vuole un’intepretazione particolare, divertita e vissutissima dei suoi grandi classici, che classici sono solo per chi esercita il culto del Conte minore.

Qui siamo davanti a un concerto. Un concerto in quartetto. Registrato in un ambiente tanto affascinante quanto singolare per un piemontese puro. Indubbiamente un concerto immortalato in un ex cinema perso nella Bassa sarebbe apparso più consono. Ma così non è… , e il risultato, in termini di divertimento e di partecipazione del pubblico, si sente eccome. Innanzitutto la forma del quartetto, un’idea a pochi millimetri dal jazz, è decisamente brillante. Malnati e Mazza rispettivamente a basso e batteria sono una macchina unica e affiatatissima. Non ho la fortuna di conoscere il loro curriculum, ma poco conta… : la libidine c’è, eccome. L’armonia è lasciata integralmente alla chitarra classica pizzicata benissimo dal protagonista, uno di quei cantastorie che sembrano nati con la chitarra tra le dita, mentre a fare da controcanti, commenti, ricamini ed assoli c’è l’ ottimo, anche se piacevomente strabordante, Guglielmo Pagnozzi, che spadroneggia i suoi sax e i suoi clarinetti con rara perizia e con fraseggio bello, immediato e mai banale. I brani, come già detto, sono classici solo per chi conosce e ama la musica di Giorgio Conte, per gli altri saranno soltanto (e non è poco) piacevolissime scoperte.

Ironia pura in “Cannelloni” e “Gnè Gnè”, storie di amori -forse coniugali- andati, simili a quelli fraterni, in “Te Lo Farei Notare”, e molte altre microstorie in microcanzoni amabili. Piacevolissime. Certo, apprezzando da tempo il fratello astigiano poco conosciuto, avrei amato molto sentire qualche altra perla dai suoi precedenti dischi. Ma la scaletta è scelta sapientemente per un pubblico probabilmente a digiuno di quei brani. Vero… : a volte essere fratelli e figli può non essere una gran botta di culo. Con stile piemontese, in un’intervista, Giorgio Conte ha detto, di recente:
all’ inizio aiuta… poi… beh… è un po’ ingombrante”.
Fratelli come Paolo o padri come Faber sono un grande e piacevole ingombro che magari, agli occhi di molti, impedisce di valutare -per quel che è- l’ottimo artigianato creato da chi non ha, e non dorebbe sentire, il dovere d’essere un genio come i giganteschi termini di paragone che la sorte gli ha messo di fianco.

Carico i commenti...  con calma