L’arte è quell’ente astratto le cui venature diventano materiali grazie alla sperimentazione umana. Di conseguenza, l’artista “sarebbe” un assiduo ricercatore della bellezza, un cocciuto edificatore d’opere dotate delle tipiche prerogative che cercano la costante emozione del pubblico. Ecco, in questo caso l’uso del condizionale fra virgolette è più che mai voluto, proprio perché oggi, la parola artista non merita di essere associata a tutti gli interpreti delle odierne opere d’intrattenimento del cinema, della TV, del teatro e della musica, poiché molti di loro cercano il profitto monetario e non la qualità e la bellezza, cercata invece da ogni artista che si rispetti.

Parlando di Giorgio Gaber, la parola “arte” diventa propriamente opportuna. Chitarrista, cantautore, presentatore, comico, attore, commediografo…praticamente sei artisti in uno! Intanto gli fu attribuito il merito d’aver importato il “rock and roll metropolitano” nel nostro paese (assieme ad Enzo Iannacci e Adriano Celentano); magari non per averlo fatto con la stessa grazia e tecnica dello stile americano, ma almeno per aver italianizzato un genere dapprima poco approfondito nel nostro paese. Fu fra i primi presentatori della televisione italiana, e naturalmente (suo merito più grande) fu il padre fondatore del teatro-canzone, grazie al quale ora il cabaret circumnaviga le emittenti italiane, e gl’attori possono proporre gli one-man-show nelle loro tournee teatrali.

Soffermandoci sul Gaber “teatrale” e sugli spettacoli che l’artista compose a quattro mani con Sandro Luporini, dal 1970 al 2000, noteremo che le prove del “Signor G” a teatro non sono mai sottotono, possono piacere di più o di meno secondo i gusti dell’ascoltatore, ma è importante assicurare che nessuna di queste opere è da definirsi “brutta”. Ecco, Anche per oggi non si vola è di fatto uno di questi riusciti esperimenti.

Sincero resoconto fiorito nel corso di un’esibizione al Teatro Lirico di Milano, durante la stagione teatrale 1974/1975, questo disco ripropone la struttura dei suoi predecessori e successori, cioè un alternarsi irregolare di prosa e canzone che spazia su molteplici argomenti concettualmente legati al tema su cui è basata l’opera intera. È uno spettacolo ironico, polemico, talvolta un po’ arrabbiato, ma mai deprimente, anche se non mancano momenti malinconici e farseschi come nel finale C’è solo la strada; parabola sul mutamento che denuncia il decadimento individuale tra le mura dell’ambiente domestico e invita quindi la società ad esibirsi collettivamente nelle strade e nelle piazze, nella speranza che l’impegno civile possa raffinare l’intervento del potere esecutivo sull’uomo. Fra i momenti più comici, Il corpo stupido, in cui il protagonista narra di un’impotenza sessuale apparentemente fisica, ma che poi si rivelerà essere profondamente psicologica. Il sarcasmo e la negatività permeano dunque l’intero spettacolo, arrivando a imbrattare persino i momenti apparentemente più gioiosi (La leggerezza) e rendendo più potenti i toni lugubri di alcune canzoni (La ragnatela, La peste). La felicità è perciò sciaguratamente utopistica, poiché essa vive solo nelle illusioni dei personaggi cantati e interpretati dal “Signor G”, che ci propone questa scaletta popolata da individui afflitti dal peso della quotidianità e dalla loro insoddisfacente condizione sociale. Tali frustrazioni sono però avvinghiate alla classica “comicità Gaberiana” che riesce ad alleggerire col riso le parti più amare. Il linguaggio ironico e umoristico esenta perciò il pubblico dal più totale sconforto.

Disco divertente, sottile, critico e un po’ nostalgico, che malgrado la lunga durata (circa 107 minuti) necessiterebbe di un ascolto senza interruzioni: il solo modo che ha il pubblico di cogliere la straordinaria profondità di questo lavoro.

Federico "Dragonstar" Passarella.

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