Cercare di riassumere la carriera di Giorgio Gaber è un pò come cercare di arginare un oceano.

Questo cofanetto, che non casualmente esce in periodo natalizio come altre raccolte musicali, è comunque concentrato sul trentennio 1970-2000, iniziato con "Le storie del Signor G" e conclusosi con "Un'idiozia conquistata a fatica", che ha preceduto il ritorno "ufficiale" di Gaber sulle scene nel 2001 con "La mia generazione ha perso", che lo ha riportato in cima alle classifiche di vendita dopo moltissimo tempo.

Si può discutere all'infinito sulla opportunità di pubblicare questo tipo di raccolte, e si troveranno sempre pareri discordanti, specie per artisti come Gaber che hanno realizzato nel corso degli anni un repertorio quantitativamente notevole..... in ogni caso, anche se ripubblicati in versione digitalizzata e non troppo dispendiosa, i singoli lavori di questo periodo 1970-2000 sono talmente tanti da essere in grado di scoraggiare un potenziale acquirente che volesse ascoltarli tutti; ecco dunque che questo cofanetto di 3 CD, pur con il limite di essere necessariamente sintetico, è benvenuto. C'è anche da dire che questa pubblicazione, a cura della Fondazione Giorgio Gaber, ha anche il patrocinio della Regione Lombardia (con tanto di stemma ufficiale), a dimostrazione che non si tratta solo di una operazione commerciale pre-festività natalizie.

A questo punto la recensione potrebbe dividersi in due parti: una per i fans di Gaber, che non troveranno particolari sorprese (se, beninteso, conoscono tutti i lavori di Gaber), e l'altra per chi ancora non lo conosce. Per la cronaca il sottoscritto si trova nel guado, essendo un fan, ma non conoscendo proprio tutto-tutto di Gaber; quindi nell'ascoltare questo "Con tutta la rabbia con tutto l'amore" ho ritrovato brani conosciuti quasi a memoria, altri conosciuti con altri arrangiamenti o altri testi, e (pochi) brani del tutto nuovi. Cercherò di descrivere questo lavoro cercando di essere esaustivo per tutti (salvo errori od omissioni).

Ammetto che mi riesce difficile essere freddamente obiettivo quando parlo di Gaber; è in assoluto uno dei miei artisti preferiti, e non solo italiani. E' stato (ed è) un artista che ha saputo, con l'aiuto fondamentale di Luporini, scavare come pochissimi altri nell'essere umano, sia come individuo che come parte di una collettività. Ha analizzato, talvolta con ironia leggera, altre volte con severità, altre ancora con spietatezza, le debolezze e le fragilità della società, della democrazia e delle sue istituzioni, della politica, mai però tralasciando i dubbi, le false certezze, ma anche gli slanci generosi, gli ideali e le speranze dell'uomo come persona, coltivando quel particolare concetto di "pessimismo" verso la natura umana e il suo destino, che non era mai disfattismo fine a sé stesso, ma contributo a far emergere i lati oscuri e discutibili della personalità e della coscienza singola e collettiva per poi trovare sempre nuovi motivi per credere ancora, e quindi per vivere.

Riguardo alla scelta dei brani effettuata dai compilatori del cofanetto, credo che chiunque avrebbe da ridire per l'assenza di questo o quel monologo o canzone, ma ribadisco che Gaber non è riassumbile e sintetizzabile con facilità...

Uno dei lavori più rappresentati è "Far finta di essere sani", a mio avviso giustamente, vista la forza e l'attualità delle tematiche (la follia e la normalità), con "La nave" sugli scudi, mentre i lavori della metà anni 80 sono un pò sottorappresentati (segnalo comunque la presenza della stupenda "Io e le cose" ). Il viaggio parte con "Suona chitarra", brano che seppur presente nelle storie del Signor G, fu scritto qualche anno prima, e che testimonia quale idea Gaber avesse sulla musica da scrivere nel suo prossimo futuro, e verso quale percorso artistico rivolgersi, e termina con "Una nuova coscienza", simbolo delle tematiche inerenti la necessità della rinascita morale dell'essere umano, tipiche degli anni 90, in particolare da "E pensare che c'era il pensiero" in poi.

In mezzo c'é il Gaber più "politico", ma sempre assistito da quella capacità critica che gli ha creato nemici a destra come a sinistra, testimoniato dai brani di "Dialogo fra un impegnato e un non so" (con il bellissimo trittico "L'ingranaggio parte 1" "Il pelo" "L'ingranaggio parte 2" dedicato alla disumanizzazione del lavoro e alla schiavitù inconsapevole imposta dalla società consumistica), "Anche per oggi non si vola", "Libertà obbligatoria" (con tra l'altro, la struggente "I reduci", vero e proprio manifesto delle illusioni utopistiche infrante degli anni 70), fino a "Polli d'allevamento", che ha sancito la sua definitiva presa di distanza dalla sinistra partitica e dai suoi luoghi comuni e dalle sue contraddizioni (e in cui Franco Battiato e Giusto Pio curarono gli arrangiamenti, perfettamente riconoscibili in "I padri miei, i padri tuoi").

C'é l'apocalittica "Io se fossi Dio", probabilmente il suo pezzo più feroce, nella sua versione originaria (ne fece un "aggiornamento" durante la tourneè del 1991) , ma c'é anche il Gaber che canta i sentimenti, e "Quando sarò capace di amare" è una delle canzoni d'amore italiane più belle di tutti i tempi.

Neanche una recensione articolata come mi è venuta questa può dare in fin dei conti l'idea di quello che Gaber è stato capace di esprimere in questo prolifico e qualitativamente straordinario trentennio. Potrei, per usare uno slogan definirlo il migliore cantore della umanità, ossia di quello che comporta vivere come esseri umani in termini di passioni, di debolezze, di idee, di contraddizioni, di sentimenti positivi e negativi, di odio e amore, di trasporto e di indifferenza, di razionalità e di follia.

Insomma un genio, ma un genio molto molto umano....

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