Me lo ricordo benissimo. Si festeggiava. Il 2002 ci lasciava per dar spazio al 2003. In quelle occasioni si è tutti presi dalle bollicine, dal cotechino, quacuno dai botti. Oppure dalla colonna sonora, dalla biancheria rossa, dal vino rosso giusto da accompagnare il primo. Tutte cose fondamentali. E il giorno dopo, l’anno nuovo, vai di sveglia tarda, di pranzone con mille avanzi del giorno prima. Tutti intorno al tavolo con le felici occhiaie del capodanno. Tutto può succedere, in quei giorni lì, in quei meravigliosi e cretinissimi giorni lì. Tutto, ma non deve morire Gaber. E invece, un destino beffardo quell’anno lì ci ha riservato un regalino così. Improvviso e cattivo. Un’unica consolazione…: in uscita un nuovo disco. Da lì a pochi giorni. Il disco, dunque, non è operazionaccia postuma. Non è il bieco rimescolar di minestre di mogli e discografici, cui assistiamo oggi sempre più sconsolati ed esterefatti. È un disco nuovo. Voluto, pensato e concepito dal signor G. Il nostro amatissimo signor G. Una consolazione. Piccolissima e forse insufficiente. Ma pur sempre una consolazione.
Con struttura circolare tipica dei grandi e forse più semplicemente del destino, Gaber era tornato alla canzone pura già da un paio d’ anni. “La mia generazione ha perso”, infatti, era uscito nel 2001, e, come questo, univa scritture vecchie e nuove, ed alcune vecchie ritoccate. A me piace pensare a questi due dischi come a un doppio ideale, il doppio del ritorno del signor G. al suo vecchio amore. A quella forma-canzone che l’ha reso celebre e che è sempre stata la sua dimensione ideale. Come…: Gaber senza teatro…? Certo, può sembrare un controsenso. Un’autolimitazione. Così non è: le canzoni di Gaber vivono meravigliosamente anche da sole. Sono mondi autonomi e bellissimi, rifiniti e studiatissimi. Sono giochi da adulti, merce rarissima e forse ormai estinta o quasi. Se poi un tempo erano recitate in teatro dall’autore (e, per piacere, non da altri…), allora potevano vivere una nuova vita, rinnovandosi e arricchendosi. Ma questo era il frutto di una pianta geniale. Non una partitura da studentelli d’accademia.
Tornando ai dischi, solo una piccola grande differenza separa le due opere del “ritorno alla canzone”: nel primo disco Gaber ha lavorato in studio con gli altri. Nel secondo, ormai minato dalla malattia, ha delegato gran parte del lavoro all’ottimo Beppe Quirici (già egregio altrove, ad esempio con Fossati), seguendo tutto passo per passo da lontano, da casa sua. La stessa casa dove ha inciso le parti vocali, con quella sua voce profonda, caldissima, saggia, intelligente. Quella voce che non ha perso nulla negli anni. Anzi: se possibile, è diventata ancora più bella. Qui, inutile come sempre la disamina noiosetta e soggettivissima dei brani uno per uno, basti segnalare alcuni pezzi nuovi pregevolissimi (“Il tutto è falso”, “Io non mi sento italiano” ) ed un testamento spirituale splendido, d’infinita saggezza e attualità: “Non insegnate ai bambini”. Sarebbe bello riportare per intero il bellissimo testo. Ma penso lo conosciate già, oppure siate ben disposti a recuperarlo velocemente. Fatelo: può solo arricchire.
Gaber, come i pochi grandissimi geni del nostro pensiero, della nostra cultura e della nostra musica, era incredibilmente avanti. O, visto dove siamo arrivati e dove stiamo andando, incredibilmente altrove…?
Elenco tracce testi samples e video
04 L'illogica allegria (04:07)
Da solo
lungo l'autostrada
alle prime luci del mattino.
A volte spengo anche la radio
e lascio il mio cuore incollato al finestrino.
Lo so
del mondo e anche del resto
lo so
che tutto va in rovina
ma di mattina
quando la gente dorme
col suo normale malumore
mi può astare un niente
forse un piccolo bagliore
un'aria già vissuta
un paesaggio o che ne so.
E sto bene
Io sto bene come uno quando sogna
non lo so se mi conviene
ma sto bene, che vergogna.
Io sto bene
proprio ora, proprio qui
non è mica colpa mia
se mi capita così.
è come un'illogica allegria
di cui non so il motivo
non so che cosa sia.
è come se improvvisamente
mi fossi preso il diritto
di vivere il presente
Io sto bene...
Questa illogica allegria
proprio ora, proprio qui.
06 Il dilemma (06:16)
In una spiaggia poco serena camminavano un uomo e una donna
e su di loro la vasta ombra di un dilemma.
L'uomo era forse più audace più stupido e conquistatore
la donna aveva perdonato, non senza dolore.
Il dilemma era quello di sempre
un dilemma elementare
se aveva o non aveva senso il loro amore.
In una casa a picco sul mare vivevano un uomo e una donna
e su di loro la vasta ombra di un dilemma.
L'uomo è un animale quieto se vive nella sua tana
la donna non si sa se ingannevole o divina.
Il dilemma rappresenta l'equilibrio delle forze in campo
perché l'amore e il litigio sono le forme del nostro tempo.
Il loro amore moriva come quello di tutti
come una cosa normale e ricorrente
perché morire e far morire è un'antica usanza
che suole aver la gente.
Lui parlava quasi sempre di speranza e di paura
come l'essenza della sua immagine futura.
E coltivava la sua smania e cercava la verità
lei l'ascoltava in silenzio, lei forse ce l'aveva già.
Anche lui curiosamente come tutti era nato da un ventre
ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa.
In un giorno di primavera quando lei non lo guardava
lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova.
E ancora oggi non si sa se era innocente come un animale
o se era come instupidito dalla vanità.
Ma stranamente lei si chiese se non fosse un'altra volta il caso
di amare e di restar fedele al proprio sposo.
Il loro amore moriva come quello di tutti
con le parole che ognuno sa a memoria
Sapevan piangere e soffrire
ma senza dar la colpa all'epoca o alla Storia.
Questa voglia di non lasciarsi
è difficile da giudicare
non si sa se è cosa vecchia o se fa piacere.
Ai momenti di abbandono alternavano le fatiche
con la gran tenacia che è propria delle cose antiche.
E questo è il sunto di questa storia
per altro senza importanza
che si potrebbe chiamare appunto resistenza.
Forse il ricordo di quel Maggio
gli insegnò anche nel fallire il senso del rigore, il culto del coraggio.
E rifiutarono decisamente le nostre idee di libertà in amore
a questa scelta non si seppero adattare.
Non so se dire a questa nostra scelta o a questa nostra nuova sorte
so soltanto che loro si diedero la morte.
Il loro amore moriva come quello di tutti
non per una cosa astratta come la famiglia
loro scelsero la morte per una cosa vera come la famiglia.
Io ci vorrei vedere più chiaro rivisitare il loro percorso
le coraggiose battaglie che avevano vinto e perso.
Vorrei riuscire a penetrare nel mistero di un uomo e
una donna nell'immenso labirinto di quel dilemma.
Forse quel gesto disperato potrebbe anche rivelare
come il segno di qualcosa che stiamo per capire.
Il loro amore moriva come quello di tutti
come una cosa normale e ricorrente perché morire e far morire
è un'antica usanza che suole avere la gente.
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Altre recensioni
Di Grasshopper
Quando parla Gaber l’effetto è opposto a quello della pubblicità, in cui anche i cessi parlano.
Il suo disco è un'appassionata dichiarazione di non appartenenza al Pensiero Unico, quello in cui 'Il tutto è falso, il falso è tutto'.