“Dovunque abbiamo abbandonato degli aborti di felicità a marcire negli angoli delle strade.”

Le briciole. Non restano che le briciole.

Dove è finita la Felicità? Quella che tanto animava la fine degli anni settanta, gli anni della contestazione, quella che inebriava le strade di Napoli, di Milano, di Roma e di tutte le grandi piazze d’Italia.

Si è imputridita, sta marcendo fino ad annullarsi. Giace dimenticata, forse abusata.

Ed allora le strade, che avevano caratterizzato tutta la generazione sessantottina, è giusto che vengano disoccupate da tutto, dalle illusioni e dalle speranze, e dalla cosa più cara in assoluto: dai sogni (come dirà qualcun altro giusto l’anno seguente). Secondo Giacomo Leopardi, i sogni sono l’unico mezzo mediante i quali l’uomo può giungere ad assaporare in modo effimero il piacere, la sola valvola di sfogo utile per evadere da quella pesante quotidianità che ci rende schiavi, illudendoci del fatto di essere “liberi”. Si, perché parte tutto da lì, o meglio, da qui (“Voglio essere libero, libero come un uomo” si diceva).

La Libertà che ci viene imposta, che ci schiaccia fino a renderci vittime di un senso d’angoscia che è più opprimente di qualsiasi dittatura. Perché, quando lo vedi anche sulla tua maglietta, sulle scarpe da tennis, sui blue-jeans da quattordici once, il peggiore dei mali non è un nemico da combattere, un nemico visibile e riconoscibile, ma un qualcosa di subdolo, viscido, che si insinua nel nostro corpo, che ci dilania e ci strugge: un cancro.

“L'assassino dentro è come un'iniezione, non la puoi fermare e non risparmia nessuno, nessuno sfugge alla scadenza.”

La Libertà, come quella americana, che non lascia scampo a nulla. Sgretola l’individuo e lo rende malato, ti mangia dal di dentro senza accorgertene. La Morte è quotidiana. Come la Libertà, è alla portata di tutti. Anzi, la stessa morte viene accettata, resa “libera” (mai come in questo caso è significativo il gioco di parole) dalla Libertà. Ed è proprio nella quotidianità, che l’uomo muore.

Giorgio Gaber resta un filosofo dei nostri tempi, uno dei pochi ad essere riuscito a penetrare nei labirinti più oscuri dell’inconscio umano ed ad analizzare le sue debolezze, a servirci la nostra coscienza su un piatto d’argento (“La coscienza è come l’organo sessuale: o fa nascere la vita, o fa pisciare”). E nonostante tutto, sprofondando nella più totale amarezza, riesce a rendere tutto così semplice ed allo stesso tempo geniale, grazie alla sua vena dissacrante e forbitamente sarcastica (“Il sogno di Gesù” ed “Il sogno di Marx”).

La Libertà, che tutti ci vogliono imporre, non può essere considerata tale. Una Libertà non può essere Obbligatoria. E’ un aborto, è un delirio. E’ come la cacca dei contadini. L’uomo non è fatto per stare solo, ma per essere “libero” con i suoi simili. Ma noi, uomini teneri ed incantati, deficienti e devastati (così dice “La Festa”, scritta un paio d’anni dopo) non riusciamo ad acquistarne consapevolezza. Siamo come gli animali, abbiamo bisogno di gerarchie per distinguerci. Abbiamo bisogno di Potere.

Un potere fittizio, ma che riesce a riempire il nostro vuoto, la nostra inadeguatezza nei confronti di qualsiasi tipologia di società.

“Si può, siamo liberi come l'aria. Si può, siamo noi che facciam la storia. Si può, libertà, libertà, libertà, libertà obbligatoria.”

Come?! Con tutte le libertà che avete volete anche la libertà di cambiare? (Cit.)

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