Dal vostro inviato Jake Chambers - vol. 1 

L'appuntamento novembrino del Padova Porsche Jazz Festival, sotto la direzione artistica del sassofonista Claudio Fasoli, è divenuto ormai immancabile per gli appassionati di jazz di tutto il veneto. Se è vero che lo sponsor del festival è poco "popolare" e può far storcere il naso, è altrettanto vero che i concerti, nella stragrande maggioranza, sono gratuiti, offrendo al pubblico la possibilità di avvicinare autentiche stelle del jazz nostrano ed internazionale. È il caso di questo "ghiotto boccone", il nuovo quintetto di Giovanni Tommaso denominato Apogeo, ospitato nell'auditorium del Conservatorio Civico "Cesare Pollini".

Dopo una spiacevole attesa dovuta a disguidi e ritardi vari (sembra che i musicisti si siano addirittura persi per strada), veniamo fatti entrare nello spazioso auditorium, dall'acustica davvero eccezionale. E proprio Fasoli si incarica di presentare il vecchio amico, il suo vecchio bandleader in quello che è stato il gruppo di jazz-rock italiano più influente e conosciuto: Perigeo. A sentire Fasoli (e anche Tommaso), il progetto Apogeo nasce, a più di trent'anni di distanza dai successi di quella band storica, dall'esigenza di rivisitare quel linguaggio, attualizzandolo e presentandolo in una forma per così dire classica, spogliata del sound elettrico (se escludiamo la chitarra).

Le collaborazioni di Giovanni Tommaso con giganti del jazz mondiale non si contano, e la sua influenza a livello nazionale è stata enorme. Dal punto di vista squisitamente tecnico, Tommaso è un maestro del suo strumento. Possiede una potente cavata in walking, ma sa anche trarre delicate nuances suonando con l'archetto (cosa per nulla scontata in un contrabbassista jazz). In assolo è uno dei miei bassisti preferiti: con un sound pieno e rotondo e una velocità di diteggiatura sempre al servizio di una grande espressività, sa far "cantare" il basso come pochi sanno fare.

Il bassista è giunto ad una fase della propria carriera che gli permette di usare la sua grande autorevolezza ed il suo "fiuto" artistico, proponendo al pubblico musicisti giovani e meritevoli di attenzione, facendo un po' l'Art Blakey della situazione. Tutti nomi (relativamente) nuovi in questo suo inedito quintetto.

Il pianista Claudio Filippini appare come un ragazzino che si potrebbe vedere fuori da un internet point mentre maneggia un Nokia di ultima generazione, ma messo davanti alla tastiera esibisce una padronanza tecnica impressionante, anche se non ancora sublimata in una "voce" personale - ma ha tutto il tempo che vuole per elaborare uno stile proprio, è talmente giovane...

Ottimo il batterista newyorchese Anthony Pinciotti, protagonista di un incandescente momento solistico che strappa alla platea l'applauso più lungo della serata. Il sassofonista (tenore e soprano) Max Ionata mi sembra il meno dotato del gruppo, anche se sinceramente non ha modo di emergere più di tanto durante la serata. È però protagonista di un breve, "coltraniano" passo a due con Pinciotti, che fa ben sperare per il futuro.

Rivelazione del concerto è il chitarrista cagliaritano Bebo Ferra (già collaboratore di Fresu) che - come annuncia il leader - si sposerà sabato 22, quindi auguri e figli maschi! Conoscevo Ferra come convincente emulo di Ralph Towner, ma mai prima di stasera mi era apparso musicista tanto completo e conscio dei propri mezzi espressivi. Spazia con grande facilità dal bebop, al rock, alla fusion, dimostra una valida padronanza degli effetti e del feedback, esibisce un fraseggio che in alcuni tratti ricorda Metheny, ma supportandolo con un sound più "duro" e rockeggiante, specialmente nel brano "Tempi Duri", introdotto da un travolgente unisono basso-chitarra.

Tommaso, da vecchia volpe del palco qual è, conversa amabilmente con gli spettatori, presenta i suoi musicisti, racconta aneddoti facendo trapelare qua e là il suo accento "toscanaccio", descrive le composizioni (tutte sue) che il gruppo andrà a suonare. In men che non si dica, ha tutto il pubblico dalla sua...

E le composizioni sono davvero magnifiche. Comprendiamo a cosa volesse alludere Fasoli quando tracciava un parallelo con Perigeo: domina una grande rilassatezza e libertà espressiva, una voglia di esplorare situazioni e suggestioni molto diverse tra loro in un clima informale, ammantato di cantabilità - del resto, l'accoppiata piano-chitarra infittisce la struttura armonica aumentando la facilità di ascolto. Influenze funk e rock si amalgamano alla perfezione con la tradizione, c'è spazio per languide ballate ("Girovagando", sottolineato dal sax soprano ritorto di Ionata) e momenti più aggressivi e pregni di euforia ritmica. C'è anche un ottimo 11/4, "Men at Work", dove i nostri ne combinano un po' di tutti i colori, muovendosi con grande naturalezza tra parti scritte ed improvvisate.

Chiude la serata il brano più tradizionale del set, intitolato "Maestrada". Ferra "cambia pelle" per l'ennesima volta e confeziona un assolo in purissimo stile bop. Davvero un chitarrista coi fiocchi, da tenere d'occhio in futuro.

Piacevole fuori programma: Tommaso riesce a trascinare sul palco il vecchio amico Fasoli, salta da fuori da chissà dove un sax soprano... E vai di jam session! Non so quanto la scenetta fosse preparata, fatto sta che il vecchio sassofonista del Perigeo dice la sua con autorevolezza, in un assolo che - bisogna dirlo per dovere di cronaca - dà la paga al pur bravo Ionata.

Il bassista lucchese, presentando i suoi partner, li ha definiti "Un dono del cielo". Concordo, e aggiungo che il dono più grande è proprio lui, Giovanni Tommaso, un artista che ha percorso quarant'anni di storia del jazz italiano tracciando una carriera costellata di gemme, delle quali Apogeo Quintet è solo l'ultima in ordine di tempo.

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