La mia "prima volta" con il Macbeth mi rimarrà per sempre dentro, indelebile, indimenticabile. E sì che tra i miei precedenti ascolti operistici potevo già annoverare titoli come Madama Butterfly, La Traviata, Andrea Chenier, Rigoletto e Turandot, tutte eccelse, per me specialmente le ultime due, eppure questa è stata la prima a lasciarmi letteralmente di sasso per tutta la sua durata. Non è quindi con Macbeth che ho conosciuto l'opera, ma mi ha fatto conoscere il mio limite massimo, mi ha fatto capire fino a che punto potessi arrivare ad amare questa forma d'arte.

Datata 1847, opera di un Verdi non ancora nel pieno della maturazione stilistica, senza pretese di innovatività dal punto di vista formale, Macbeth ebbe un buon successo nell'immediato, per poi conoscere un lungo periodo di oblio; i gusti del pubblico virarono gradualmente sui melodrammmi e su tematiche più contemporanee, un trend inaugurato dallo stesso Cigno di Busseto con La Traviata, poi venne l'uragano Wagner, e a seguire il verismo; non solo Macbeth, anche parecchi capolavori del repertorio belcantistico attraversarono la stessa traversata nel deserto, basti pensare ad Anna Bolena di Donizetti piuttosto che Semiramide di Rossini. E un po' per tutte la riscoperta arriverà intorno agli anni '50 del secolo scorso, stagione aurea probabilmente irripetibile per il mondo dell'opera; nel caso specifico del Macbeth, buona parte del merito và a Maria Callas, interprete della Lady alla Scala il 7 dicembre nel 1952. Il trionfale successo di quella rappresentazione permise all'opera di entrare finalmente nel repertorio standard, per non uscirne più.

Opera dalle atmosfere cupe ma piena di dinamismo, elettrizzante nella serratezza del suo dramma ed estremamente generosa sia in termini di magnificenza orchestrale che di arie e corali d'impatto, dominata e scolpita magistralmente da uno dei personaggi più affascinanti di tutta la storia dell'opera: Si, quello di Lady Macbeth è un ruolo titanico, non esistono altri aggettivi adatti, e qui il merito và anche al librettista, Francesco Maria Piave, perfetto nel trasporre in forma musicabile la complessità del personaggio shakespeariano. E dunque, quale voce per la Lady? Non è una domanda facile proprio perchè la sua connotazione musicale è mutevole e umorale tanto quanto le sue sfumature psicologiche; si sono cimentati nel ruolo soprani drammatici wagneriani (Birgit Nilsson, Leonie Rysanek, Astrid Varnay) e spinto-drammatici più vicini al repertorio italiano e verdiano (Ghena Dimitrova, Maria Guleghina), ma anche Leyla Gencer, grande specialista del repertorio belcantistico e Shirley Verrett, formatasi come mezzosoprano e poi passata al registro più alto. Come se non bastasse, mostri sacri come Leontyne Price e Montserrat Caballè ne hanno voluto dare una propria interpretazione, anche se solo in forma di registrazioni in studio; purtroppo c'è anche l'esempio contrario, ovvero gente neppure lontanamente all'altezza del ruolo che ha avuto la faccia tosta di interpretarlo a teatro, con risultati a dir poco volgari. Questo per dire che Lady Macbeth è un personaggio che può adattarsi a diversi tipi di vocalità ma mai e poi mai si adatterà ad interpreti mediocri.

E sono proprio le arie di Lady Macbeth a dettare i tempi del dramma: si parte dalla celeberrima cavatina, una tempesta perfetta in cui il genio verdiano si rivela in tutta la sua gloriosa epicità. Dopo l'iniziale recitativo, la sezione introduttiva "Ambizioso spirto...", deve essere interpretata con potenza granitica, in modo creare l'effetto di un'accelerazione brutale che "inchiodi" l'ascoltatore; l'aria "Vieni, t'affretta" e, soprattutto, l'irresistibile cabaletta "Or tutti sorgete" richiedono invece più agilità, e devono saper trasmettere una sensazione di vitalità, e fondamentalmente di gioia; certamente perversa, ma pur sempre gioia, ed eccitazione. Gioia che nel secondo atto và a morire con "La luce langue", romanza cupa, notturna e di raro fascino: qui affiora il dubbio, dissipato apparentemente da un verso che richiede un'ulteriore prova magistrale di recitazione drammatica "nuovo delitto... è necessario... E NECESSARIO", che da il via ad un affilato, spietato crescendo. In "Si colmi il calice", la scena del brindisi, accompagnata da una melodia fischiettabilissima e dalla solita maestria corale verdiana, troviamo invece una Lady impegnata mantenere le apparenze, con un cantato stavolta quasi ai limiti del cinguettìo, ma che deve comunque far trasparire una certa dose di doppiezza e arroganza, sprezzante arroganza che emerge completamente in quel "Voi siete demente" rivolto al consorte tormentato dal fantasma dell'assassinato Banco. Infine "Una macchia è qui tutt'ora", la celebre scena del sonnambulismo; per come la vedo io, non si tratta assolutamente di una scena di follia, anzi, qui la Lady appare per la prima volta sobria, non inebriata dalle sue visioni di potere. è invece un momento di profonda introspezione e di rimorso, che tecnicamente richiede un perfetto controllo vocale per ricreare credibilmente la vocalità di una donna sopraffatta dal fallimento e prossima alla morte.

Macbeth è invece un ruolo baritonale che pur non raggiungendo gli apici musicali della Lady (e non potrebbe essere altrimenti) si rivela comunque molto interessante nelle contraddizioni del suo fragile ego: ad esempio la sua parte nella già citata scena del brindisi richiede una grande sensibilità drammatica, e la sua vicenda culmina con una bellissima aria, "Pietà, rispetto, amore", che nella sconfitta restituisce al personaggio la sua dignità e nobiltà originale. E infine le streghe, che nel Macbeth letterario sono solo tre, ma Verdi, da par suo le fà diventare una dozzina circa e ne affida la parte alle voci corali, che, anche in quest'opera come in moltissime sue altre, ispirano al compositore delle vette ispirative straordinarie: l'introduttivo "Che faceste dite su", che trasporta immediatamente l'ascoltatore nell'atmosfera dell'opera, a metà tra passato remoto ed autentico mito, condendo il tutto con una vivacità squisita, non priva di una certa ironia. Analogo ma ancora più incisivo è il secondo coro, "Tre volte miagola", reso assolutamente irresistibile una linea melodica ancora più incalzante e serrata mentre il terzo, "Ondine e silfidi" fà storia a sè: un balletto dolce e consolatorio, dedicato nientemeno che a Macbeth e consorte, per cui Verdi dimostra ancora una volta di provare molta empatia e comprensione.

E dopotutto come non simpatizzare per questi personaggi, ispiratori di un'opera di tale, splendida bellezza? C'è tantissima umanità nel Macbeth verdiano, anche se, almeno fermandosi alle prime apparenze, non è sicuramente una qualità che in molti assocerebbero alla Lady, ma è proprio la sua imperfetta umanità a renderla un personaggio titanico perchè credibile, perfettamente incarnata, molto più di altre eroine operatiche, tutte purezza e castità e/o interamente definite da amori disperati e impossibili. Indimenticabile protagonista di un'opera che ha tutto, ma proprio tutto, tutto, tutto quello che si può desiderare in un dramma lirico tradizionale.

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