Daevid Allen, dopo aver animato gli albori della scena canterburiana a fianco di Robert Wyatt, nel 1968 si trova col passaporto bloccato a Parigi, e lì, insieme alla moglie poetessa e cantante Gilli Smyth, decide di acciottolare intorno a se una variopinta comunità di fricchettoni.

"Flyng Teapot - Radio Gnome Invisibile Pt. 1", del 1973, è il primo dei tre capitoli della saga (dalla trama non chiarissima, ma vabbè) ambientata nel pianeta Gong: gli gnomi gonghiani (i Pot Head Pixies) viaggiano su teiere volanti connessi telepaticamente a Radio Gnome Invisibile, e arrivano sulla terra atterrando in Tibet per stabilire un contatto con alcuni eletti fra gli umani.
Ogni musicista viene chiamato con nomi diversi a seconda del personaggio che interpreta nella saga: Daevid Allen è il terrestre prescelto Zero The Hero (o Bert Camembert), la cantante Gilli Smyth è la strega prostituta Shakti Yoni, il chitarrista Steve Hillage è The Submarine Captain (o Stevie Hillside), il sassofonista Didier Malherbe è Bloomdido Bad de Grasse etc., mentre nomi altrettanto bizzarri vengono affibbiati anche agli incolpevoli strumenti musicali...
Ehm...

Mi sembra poco corretto fare discutibili osservazioni su stili di vita, ma risulta difficile immaginare come un'opera simile possa essere stata elaborata senza aver salutato per sempre milioni di cellule grigie...
Tuttavia la musica si presenta come una colta rielaborazione dei fermenti più innovativi del rock degli anni a cavallo fra '60 e '70; un amalgama di suoni tutt'altro che facilmente definibile.

Siamo di fronte a una forma asciugata di rock progressivo che quasi quasi li accosta alle composizioni più mutanti dei contemporanei Roxy Music, non tanto nei suoni (comunque non diversissimi), o nel gusto melodico (un po' meno avvicinabile), quanto nella costruzione di pezzi che iniziano come canzoncine svagate e saltellanti e finiscono per colare a picco come agonie cosmiche (e/o viceversa).
La protagonista assoluta sembra essere l'anarchia che domina i repentini passaggi fra le filastrocche più stupidine e circensi, le eteree progressioni dei synth e dei gorgheggi femminili, e le collettive galoppate rock jazz dal gusto spaziale e patafisico.

Una musica più inebriante che sicuramente psichedelica: il mondo che viene immaginato non sembra un'utopia (im)possibile, una visione da trip e tantomeno un disvelamento della psiche, ma piuttosto una proposta di commedia musicale travestita da concept album, in cui i frequenti richiami misticheggianti e esoterici vengono controbilanciati da uno sgangheratissimo humour goliardico e surreale, fra sberleffi nonsense e sculettate da cabaret.
Comunque un'opera animata da uno spirito troppo libertario per poter essere interpretata univocamente.

Banana Nirvana Manana!

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