Album mooooolto sottovalutato, eppure tanto bello e raffinato, scivolato non per sue colpe senza quasi lasciar traccia. Chi parla di Gong parla quasi unicamente dei tre loro più famosi album, una trilogia tanto singolare quanto pazza.
Ora, nel 1976, Radio Gnome non trasmette più, il pianeta Gong è un posto lontano anni luce, David Allen ha lasciato il gruppo ma i Gong sono rimasti, adesso guidati da Didier Malerbe. E hanno trovato un'altra dimensione, più assennata (forse per una ridotta assimilazione di strane sostanze nocive alle cellule grigie?).
Shamal non è a mio giudizio un disco jazz-rock, come viene da molti definito. E' un rock-jazz, molto rock e poco jazz, di una raffinatezza estrema. Un rock tardo-progressive, toccata e fuga dei Gong nel mondo Prog o, in altre parole, un tuffo e via nel Progressive. Un tuffo purtroppo non capito a suo tempo, forse rivalutato dopo un ventennio, ma ancora misconosciuto.
Notevoli, come gemme incastonate, sono i duetti di xilofono della brava Mirelle Bauer ora col basso, ora col flauto o col sax, suoni originali perché creati con uno strumento atipico per il rock. Tanti buoni musicisti su cui svetta Mike Howlett al basso, seguito da Mirelle Bauer allo xilofono (in parte aiutata dal batterista ma anche bravo al vibrafono Pierre Moerlen) e Didier Malerbe al sax tenore e soprano. Abbassa un po' la qualità del prodotto la voce solista di Mike non all'altezza, forse era meglio se si limitava a suonare il basso. Patrice Lemoine alle tastiere naviga in un sound che non gli dà molti modi per esprimersi.
Buon inizio, apre Wingful of Eyes, che presenta subito la raffinatezza di tutto il lavoro. Aumenta poi lo spessore del pezzo la chitarra solista prima elettrica poi acustica di Steve Hillage, titolare nei precedenti album ma qui con un piede fuori, ormai lanciato verso una carriera solista.
Ecco il Gong, inizia Chandra, secondo me il miglior brano, e si scatena il basso di Mike. Cambia il ritmo e si erge il sax alternato allo xilo che insieme conducono il buon pezzo ad un finale con violino. Arriva il cantato con ricami di sax ma sempre supportato dal variegato imperioso basso, vero protagonista di tutto l'album.
Soffia lo shamal, si odono tenui sonorità esotiche, ecco Bambooji. Duettano magnificamente xilofono e flauto. Appare in sordina l'elettrica di Hillage che cresce sempre più fino al colpo di gong con finale che sa di sound MikeOldfieldiano, poi lo shamal ritorna e cancella tutto.
Cat in a Clark's Shoes, il pezzo più debole dell'opera, dopo un inizio non molto armonico acquista personalità, ma poi riperde credibilità nel finale.
Mandrake, terzo ed ultimo strumentale consecutivo, inizia dolcemente, con lo xilofono sempre in primo piano, per poi acquistare ritmo a tempo di sax. Ritorna poi la calma con sonorità che richiamano alla mente visioni di calme onde marine che si stendono e muoiono sulla battigia.
Shamal è uno dei due migliori brani, sempre col basso a dettare legge e a formare un tappeto sul quale il sax si crogiola al sole mattutino del deserto. Il finale ancora guidato dal basso fa strada ad una bella performance di xilo e di violino di Jorge Pinchevsky e dalla bella voce di Sandy Calley, entrambi graditi ospiti.
Tutto sound che crea atmosfera. Un'atmosfera romantico-sahariana.
Come molti buoni album, che poi non stancano, va ascoltato parecchie volte. Per la cronaca: prodotto da Nick Mason (molto buona la qualità suono).
Fine della mia missione di rivalutazione di Shamal, missione non certo sponsorizzata dalla Virgin Records o da Nick Mason, ma da un sano amore per il Prog: stimolare all'ascolto di buon rock dei favolosi anni '70 le persone che lo amano come me.
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