In un'ampolla di vetro catturare la libertà di coloratissime farfalle ebbre della loro breve ma meravigliosa vita, vibrazioni cosmiche, intensità esplosiva, migliaia di spiriti uniti in un unico immenso fluire di suoni, rumori, battiti e raggi di luce stellare… E’ umanamente possibile?
Beh io non lo so ma è quello che nel 1968 hanno cercato di fare i divini Grateful Dead con il loro secondo album in studio dopo quella quasi completa delusione che fu “Grateful Dead” nel 1967.

I Dead all’epoca erano già delle leggende viventi, degli dei in terra per chi nella San Francisco Bay aveva deciso di cambiar vita, per le loro strepitose, infuocate, uniche jam live. Con “Anthem Of The Sun”, anche perché tentati dalle mille avanguardie musicali che stavano proliferando negli USA, i nostri vogliono creare un ibrido live-sperimentazione in studio a dir poco rischioso... Il risultato? A mio parere molto interessante ma non del tutto convincente; infatti la prima traccia, la suite in parti “That’s It For The Other One”, riesce in otto minuti a trasformarsi da tenera ballata country dal soffice tocco del genio Jerry Garcia a indemoniata jam blues per poi concludersi in una straniante improvvisazione di “prepared-piano” alla John Cage raggiungendo indubbiamente ottimi risultati; la netta impressione generale è però che la loro anima non sia fatta per essere scomposta, divisa e assemblata in studio, i momenti più eccitanti sono i grandissimi “estratti” live come l’epica “Alligator” e l’irresistibile “New Potato Caboose”. Quest’impressione trova, per chi scrive, una conferma più che decisiva su uno degli Lp più importanti e stupefacenti testimoni della magia Sixties: l’irraggiungibile “Live/Dead”... ...ma questa è un’altra recensione...

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