Perché la denominazione “Grande (squalo) Bianco”? E’ il soprannome del chitarrista e fondatore del gruppo Mark Kendall, un losangelino doc, biondissimo platino e amante dei vestiti e delle scarpe bianche. Qualcuno un giorno lo vide arrivare alle prove guidando un’auto (bianca), arrangiato in tuta bianca e scarpe italiane bianche, e tirar fuori la sua solita Fender Telecaster bianca… “Eccolo qui il grande squalo bianco!”, esclamò allora il loro manager Alan Niven. La battuta venne buona per battezzare il gruppo, che sin lì aveva girato come Dante’s Fox, con un nome più aggressivo.
Kendall è un eccellente chitarrista. Brillante e caldo, con un gran suono, per niente nella scia della contemporanea frotta di colleghi VanHaleniani, Vaisti, Malmsteeniani. Quindi “settantiano” di stile, ma con un qualcosa di suo, di fresco e saporoso. Il cantante Jack Russell d’altronde è decisamente Plantiano, ma senza abuso di falsetto. Solido e bravo anche lui peraltro, non certo un… cane! (Eeh… quando la spiritosaggine viene bisogna dirla, tenersela dentro fa male).
Cosicché la band californiana dei Great White in un’epoca di pop metal, class metal, glam metal, AOR eccetera, esegue un chiaro hard rock, appena appena screziato dalle mode correnti. Ma proprio appena… più che altro i capelli phonati e infiocchettati e qualche costume di scena variopinto, perché la musica è tutto meno che vanesia ed edonista.
L’album è piacevolissimo. Non vi sono riempitivi, tutto buono, ciascuno vi può trovare le sue cose preferite. Le mie sono anzitutto l’iniziale “Move It”, insaporita da una lunga e tesa intro strumentale che innalza via via l’atmosfera fino allo scoppio hard rock. La chitarra di Kendall vi tiene un suono particolarmente sublime, reverberato da dio, e stampa un assolo perfetto con un tiro diabolico.
Poi adoro “House of Broken Love”, un boogie blues semi lento, evocativo e melodico, sapido e maturo, di classe. Infine segnalo il singolo che andò in classifica ovvero la cover di “Once Bitten Twice Shy”, uno dei capolavori di Ian Hunter che ovviamente ha ispirato il titolo di quest’opera. Riesce ad essere ben superiore all’originale, già notevole, con un pianetto rock’n’roll irresistibile e un arrangiamento perfetto.
Great White è una band segnata a fuoco, nel senso letterale del termine, da una sciagura terribile: nel febbraio del 2003 stavano suonando in una sala di Warwick, New England, nel nord degli USA, quando dei fuochi artificiali di scena accesi dal loro tour manager incendiarono all’istante l’abbondante rivestimento di isolante acustico in poliuretano, steso su pareti e soffitto. Tale composto chimico NON era assolutamente ignifugo, anzi, eppure il locale aveva passato tutti i controlli di sicurezza stabiliti dalla legge.
La sala arse come una torcia e si riempì in pochissimi minuti di un fumo tossico e irrespirabile. Quasi cinquecento persone erano presenti, si era oltre il tutto esaurito. Cento di esse, numero tondo e terrificante, peggio di quello del Bataclan, perirono soffocate o bruciate o calpestate. Altre duecento e passa subirono pesanti ustioni, schiacciamenti, menomazioni.
Il manager dei Great White ed il proprietario del locale si beccarono quindici anni di galera per uno. Il gruppo ci rimise il secondo chitarrista Ty Longley, una delle cento vittime. Lì per lì c’era la volontà di sciogliersi, ma poi pensarono di istituire un Fondo per le vittime, e soprattutto i superstiti, dell’incendio, alimentandolo con un denso programma di concerti. Nel posto dove sorgeva il locale, adesso vi è un piccolo parco pubblico e un tempietto di suffragio.
Il gruppo ancora esiste, ma da poco tempo in qua non si chiama più Great White, bensì… Twice Shy! Forse in onore di quest’album che è il loro migliore. Forse invece perché l’anno scorso il loro cantante Russell è passato a miglior vita, ed in suo onore si è deciso un cambio di monicker.
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