C’è stato un tempo, e quel tempo precedette l’avvento degli spacciatori di bit, in cui giravano fogli chiamati fanzines, affettuosamente fanze.
Perché alle fanze ti ci affezionavi - impossibile che non accadesse – e ti affezionavi anche di più a chi spandeva passione e sudore per scrivere quei fogli, stamparli, fotocopiarli e mandarli in giro. Almeno a me è sempre andata così.
E poi ho sempre pensato che dietro una fanza si celasse un maniaco, perché chi te lo faceva fare di perdere il sonno – la fanza la si scriveva immancabilmente a notte fonda, ovvio – per buttar giù una decina di pagine di sproloqui su arti assortite di serie zeta e sempre minori, passando dalla letteratura al cinema alla musica?
E se dietro ogni fanza si nascondeva un maniaco, è pur vero che ogni maniaco scriveva, stampava e distribuiva la sua fanza.
Prendi Greg Shaw.
Aveva sedici anni quando sfogò per la prima volta la sua smania sulle pagine dattiloscritte di «Mojo–Navigator Rock’n’Roll News», uno dei primi stampati – per molti, IL primo – a potersi fregiare di quell’appellativo di fanzine in modo consapevole. Perché, in realtà, le prime fanzines erano cosa degli anni trenta, ma quelle passarono praticamente sotto silenzio e se le inghiottì la Storia colla esse maiuscola.
Le fanze degli anni Sessanta, invece, si facevano notare, facevano rumore.
Tanto per dire: un amico di Greg, tale Jann Wenner, pochi mesi dopo che «Mojo–Navigator» iniziò a circolare in modo carbonaro, mise in piedi una rivista, una di quelle serie, tale «Rolling Stone», gridando ai quattro venti di aver tratto ispirazione dall’iniziativa di Greg.
Perché Greg era bravo per davvero, scriveva come nessuno faceva a quei tempi e non è per caso che attrasse a lui gente come Ken Barnes e Lester Bangs.
Di cosa scriveva Greg? Di musica.
Ma non era un signor so-tutto-io, il suo scibile non si estendeva dal Ludovico Van al Sinatra Frankie.
Piuttosto, in tal senso era alquanto limitato: scriveva solo di certa musica nuova che percepiva nei suoi giri da adolescente, dietro a gruppi dai nomi strani, semi, cinturini di cioccolato, sonici ed amenità di tal fatta; musica che veniva fuori dalla cantina e dal garage prima che dalle sale da concerto.
Il garage, appunto; e se oggi quella musica di cui scriveva Greg è conosciuta come garage rock o garage punk, il merito è per tanta parte di Greg, ed il solo che ne può pretendere legittimamente analoga parte è un tale Lenny Kaye.
Ma tornando a «Mojo–Navigator», come ogni fanza che si rispetti, non durò a lungo: se una fanza era una fanza a tutti gli effetti, circolava quando capitava e durava poco. Per cui, ad una certa «Mojo–Navigator» sparì dalla circolazione.
Greg no, non sparì, ma si dedicò ad una nuova fanzine, «Who Put The Bomp», abbreviata in «Bomp!» con tanto di punto esclamativo.
Allora Greg non lo sapeva ma aveva posato la pietra su cui frotte di maniaci avrebbero edificato il culto suo e della musica garage: col senno di poi, «Bomp!» è soltanto questo, la bibbia della sottocultura garage e Greg ne è il profeta.
E poi venne il tempo che «Bomp!» non fu soltanto un mucchio di fogli ciclostilati e rilegati alla bell’e meglio da mettere in circolo.
Greg mise in piedi una casa discografica, Bomp! pure questa: ci passarono i Dead Boys ed i Weirdos, gli Zeros ed i Germs, i DMZ e chiunque bramasse di ardere nel fuoco della musica garage.
Greg non poteva fare meglio.
Però lo fece. Perché poi Bomp! fu Voxx, ma della Voxx non si può dire.
Di Greg ho detto al passato perché, incidentalmente, se ne andava a 55 anni il 19 ottobre 2004.
Greg Shaw era Gesù con l’attitudine punk ma non è ancora risorto.
Nell’attesa, si può ingannare il tempo con un suo libro - ha scritto pure un paio di libri - tipo questo.

Non penso esista un altro artista su cui si sia scritto così tanto (forse i Beatles ed Elvis ma storia diversa). A volte in modo passionale, altre per diletto ed altre per fare denaro facile. D'altronde James Douglas Morrison aveva tutto per essere uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi della storia del Rock; un cantante, un poeta, un carismatico leader bello e maledetto, idolo delle folle, ma soprattutto un simbolo culturale nell'America dei sixties. Poi nel tempo mito, leggenda e (purtroppo, ma ci sta) fenomeno mediatico. Proprio lui, che dell'integrità morale ha sempre fatto un valore imprescindibile, ha dovuto subire una volta scomparso, uno sciacallaggio commerciale come pochi eguali. dInsieme a John, Ray e Robby ha dato vita ad una band unica in tutto. Sono il primo a riconoscere il valore immenso dei tre musicisti, però non raccontiamocela, senza la figura di Morrison e con un altro frontman sarebbero stati un gruppo interessante, ma come altri. Invece i Doors in soli cinque anni di attività si sono iscritti in prima fila nella storia del Rock. Nel 1981 ragazzino di terza media, insieme a "Led Zeppelin 2 e 4", a "Made in Japan", nelle mie orecchie suonava continuamente "Absolutely Live", e quella musica e quella voce catturarono precocemente in modo totale la mia anima. Non c'erano video, quindi dovevi fantasticare da qualche foto. Dovevi immaginare un loro concerto, cosa fosse Morrison. In quel momento era solo un cantante "diverso" che parlava e urlava oltre a cantare; per conoscere maggiormente avrei dovuto attendere i primi libri e le prime VHS. Ho letto tanto su di lui e loro; dalle leggende del Re Lucertola in tutte le versioni possibili, agli "studi" dei suoi testi (molto interessanti, ma solo lui sapeva a cosa si riferiva veramente, tranne casi espliciti, "lasciando" all'ascoltatore, individuare la metafora possibile), ai suoi libri di poesie, a quanto ha influito sui giovani e sulla società americana dell'epoca, agli intrecci con i movimenti della controcultura, a dossier governativi su di lui, a come avrebbe messo in scena la sua falsa morte, persino di un tal Rochard che dice di averlo conosciuto negli anni ottanta (sarà pure folle, ma ha una fantasia favolosa questo soggetto!).

In mezzo a così tante e diverse letture però dobbiamo celebrare IL LIBRO sui Doors: nella versione tradotta "Jim Morrison & i Doors On The Road" di Greg Shaw.

"Un'opera monumentale, un fantastico lavoro di ricerca che ogni vero fan dei Doors dovrebbe avere. Un'impresa da Ercole" Ray Manzarek.

"Avventurarsi nella lettura di Jim Morrison & I Doors On The Road e' un po' come comprare i biglietti per 600 concerti dei Doors; a una prima occhiata una prospettiva scoraggiante. Per una maggior facilità di consultazione, abbiamo evidenziato con una stella gli show più significativi, scandalosi o entusiasmanti del complesso. Sceglietene uno qualsiasi e sedetevi in prima fila"

Questi due commenti, oltre al mio (di scarso valore tecnico), ci aiutano a capire l'opera di Shaw.
Con il contributo di una marea di appassionati e conoscitori lo studioso di Rock dello Utah ci fa ripercorrere l'intera storia della band in ordine cronologico. Un ringraziamento particolare e' dovuto a Kerry Humpherys fondatore dello storico "The Doors Collector Magazine" ed a Andrew Hawley considerato il più grande collezionista in circolazione quando si parla di Doors, Hendrix, Jazz e rhythm and blues d'annata. Possiamo iniziare il viaggio, per data, ed inoltrarci in tutto ciò che succede alla band tra registrazioni, cause giudiziarie, esibizioni televisive, interviste... ma soprattutto, uno ad uno, i singoli concerti del gruppo! Di ogni singola esibizione abbiamo tutto il possibile, che può andare dal nulla o quasi fino alla scaletta esatta, chi erano gli altri gruppi, i promoters, quanti spettatori, recensioni di giornali locali, ma soprattutto come fu il concerto e quali emozioni suscito'.

Si inizia dalle prime prove e feste private, al periodo leggendario sul Sunset Boulevard prima al "London Fog" e poi al "Whisky a Go Go". In quest'ultimo per alcuni mesi i Doors suonarono come "band di casa" spesso con più esibizioni quotidiane ed insieme ad altri gruppi. Per capirci nello stesso weekend, pomeriggio e sera, si potevano ascoltare Doors, Love, Them e Captain Beefheart! Poi ancora qualcuno chiede se e perché gli anni sessanta erano unici!!!
Si continua verso San Francisco e New York nei mitici locali dell'epoca (Matrix, i Fillmore, Ondine, Steve Paul's Scene ecc ecc) per toccare tutte le arene più importanti degli Stati Uniti.
Passando per i concerti che fecero scalpore per i fatti avvenuti: la famosa serata di New Haven (con l'arresto di Morrison sul palco), gli incidenti al "Singer Bowl" nel Queens fino alla folle nottata di Miami (documentata integralmente da una registrazione di uno spettatore!) e le decine di concerti annullati nei mesi dopo dai sindaci delle varie città ospitanti. Il perbenismo americano qui tocco vette altissime con raduni appositi contro la band. I due tour europei; uno effettuato "regolarmente" nel settembre del 1968 ed uno annullato nel settembre 1970 in quanto i giudici non spostarono le date del processo per i fatti di Miami; c'erano anche due date italiane in calendario (Roma e Milano). Si continua fino all'ultimo concerto (con Jim Morrison) a New Orleans, la partenza per Parigi di Jim, la pubblicazione di "L.A. Woman" e la scomparsa del cantante a luglio del 1971.
Fino al dicembre 1995 viene comunque aggiornato, sempre cronologicamente, tutto ciò che ancora riguarda la band ed i suoi membri anche dopo la fine del gruppo.

Shaw ci racconta la parte più eccitante dei Doors: le esibizioni dal vivo. I concerti dove la band, soprattutto Morrison, davano il loro meglio (talvolta il peggio). Ovvio che proprio Jim sia il fulcro di tutto. Non si danno giudizi di parte, come non vi e' pregiudizio e accuse, scontate e ridicole, a droga o alcol come deriva dell'essere umano. Qui c'è musica, c'è arte, c'è passione! E Jim poteva e doveva mostrarla come meglio credeva, immortalando la sua anima nell'eternità.

Parte fotografica stupendamente vintage con foto, poster e ticket degli show (il libro tutto sembra anni settanta)

L' idea di Shaw era quella di aggiornare periodicamente il libro correggendo errori e aggiungendo informazioni tramite video e registrazioni inedite, testimonianze documentate sui singoli concerti. Lo studioso lascia a tutti il proprio indirizzo e la propria mail all'inizio del libro. Probabilmente alla sua prematura scomparsa le cose si bloccarono.
Addirittura il libro da molti anni ormai non e' pubblicato e si trova solo usato.
Per quanto mi riguarda ogni volta che ne trovo una copia ad un prezzo ragionevole la prendo e la regalo a qualcuno.

Questo e' Il LIBRO che ogni appassionato della band, di Jim e di quegli anni in generale dovrebbe avere e leggere. Non e' ne lungo, ne pesante e poi si può tranquillamente "saltare" in quanto si cronologico, ma anche scollegato raccontando di ogni singolo concerto.

Un grandissimo ringraziamento a Pinhead; come avrete capito lo scritto riguardante Shaw e' opera sua. Grazie Maestro!

Buona lettura, anzi buon viaggio!

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