Allora, diciamo subito che se non ci fosse stata la possibilità di vederlo in lingua originale, non ci saremmo andati, a vederlo, questo film.

Perché lo si capisce subito che è uno di quei film nei quali la traduzione italiana non può che rendere "sciocchi" - o comunque PIÙ sciocchi di quanto già siano - certi dialoghi, certe battute, certe espressioni.

Mi è capitato, scambiando opinioni su film stranieri con amici che ne avevano viste le versioni doppiate, di provare a un tratto la sensazione di parlare di film diversi. A dir loro, di solito, più ridicoli o banali del dovuto, quando a me erano sembrati tutto sommato non male.

Per capirci, immaginate un film come "Mediterraneo" di Salvatores doppiato in norvegese.

Ecco. Lassù i film non li doppiano, per fortuna loro. Ma quando Mediterraneo vinse l'Oscar ebbero la pessima idea di tradurne il titolo in "Jeg elsker soldater" (io amo i soldati). Scoraggiarono in tal modo una buona fetta di potenziale pubblico e con quel titolo caratterizzarono comunque tutto il film in modo decisamente banale e, come si diceva, "sciocco". OK, non era Il settimo sigillo di Bergman, ma non era nemmeno un soft-porno anni '70, come invece molti norvegesi finirono per credere, nonostante i miei tentativi di rassicurarli.

Per fortuna però, da quando la città pullula di universitari stranieri, nei cinema l'offerta di film in lingua originale è decisamente aumentata. E così: Barbie.

Non è un capolavoro, questo no, ma nemmeno proprio una banalità. Di questi tempi non è pochissimo. Nemmeno moltissimo però.

Le Barbie vivono nella loro città ideale dove i Ken fanno da simpatica decorazione e sono in tutto asserviti alle donne, le quali sono convinte, grazie alla loro esistenza in quanto bambole, di aver salvato l’universo femminile, quello reale, dall’oppressione del patriarcato.

Scopriranno che così non è stato.

Scopriamo che il mondo come lo conosciamo non è l’unico possibile e che le cose avrebbero potuto (potrebbero) essere anche molto diverse.

Il tutto in un contesto molto Barbie, molto rosa e molto glitter, scenografia e fotografia davvero notevoli, attori ottimi e ben calati nelle parti. Alcune battute effettivamente memorabili, altre rivolte più che altro al pubblico americano, il cui common ground non coincide ovviamente con il nostro.

E insomma.

Forse se non ci trovassimo in un momento storico così strano, nel quale sembra necessario spiegare tutto-ma-proprio-tutto ciò che si dice, facendo anche un milione di distinguo per non rischiare di essere fraintesi o di offendere qualcuno, cercando di mantenere il livello del discorso su livelli sempre nazional-popolari perché ormai nessuno capisce più un cazzo di niente; se non fossimo in un periodo così, allora forse una brava regista come Greta Gerwig avrebbe fatto un film diverso e più coraggioso, visto che il tema trattato l’avrebbe senz’altro meritato.

Forse. Ma forse anche no, perché un miliardo di dollari, col cazzo che li avrebbe tirati su, poi.

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