Rotondo, caldo, scorre via limpido, senza grossi affanni, senza lacerazioni. Comfort zone femminista, mi verrebbe da chiamarla, senza alcun intento polemico. Tante brave attrici, bei vestiti e un ritmo frizzante, funziona soprattutto come agrodolce intrattenimento. Non ci vedo grandi leve attualizzanti, non mi pare possa parlare granché al presente. È una favola senza tempo per alcuni aspetti, e che ha fatto il suo tempo per altri. Va bene così, ma non carichiamola oltre.

Il libro non l'ho letto, il film con Winona Ryder lo ricordo vagamente, ma posso immaginare che la scelta di accostare le due linee temporali (fatti del 1861 e del 1968 si alternano repentinamente) sia data dalla necessità di cambiare un po' la formula, all'ennesima riproposizione. In parte funziona, perché permette di illuminare con facilità (forse troppa facilità) tante questioni: vediamo affiancati premesse e riscontri, sogni di ragazze e verità di donne si mettono a confronto ravvicinato, e dicono quanto è dura (fino a un certo punto, i poveri sono altri) la vita vera rispetto a quella sognata.

È una scelta pensata appositamente per un pubblico che sa già la storia e non vuole sentirsela ripetere nel solito modo. Altrimenti, per un novizio a volte i passaggi risultano troppo fitti e si perde quasi il senso del cambiamento nell'arco dei sette anni, perché gli episodi vengono avvicinati per aree tematiche e quindi ne emerge quasi una visione circolare del tempo, tutto cambia ma nulla cambia nei cuori delle piccole donne. Che è un pregio, se vogliamo.

Ma le storie e i caratteri delle quattro sorelle non sono abbastanza, tutto sommato le loro vicende sono semplici, non c'è così tanto da dire, soprattutto visto l'approfondimento psicologico non eccezionale che si fa. E dunque bisogna rinvigorire tutto il resto, un grande contorno colorato per una pietanza gustosa il giusto. E allora tante scene corali, tanta estetica, tante sottolineature narrative per creare dei nodi problematici. Il padre in guerra, la zia, i bisticci, i poveri. Tanti orpelli non essenziali che però aiutano. È un buffet di argomenti che non stanca.

Capisco perché il film abbia ricevuto critiche così positive, rinfresca qualcosa di ampiamente noto. Il rischio è di sfilacciare troppo la consequenzialità dei fatti, oppure di indurre in confusione rispetto a certi passaggi. Ma la Gerwig fa bene a correrlo, non avrebbe avuto granché senso fare altrimenti. Le imperfezioni ne sono una conseguenza inevitabile, tante questioni laterali vengono stiracchiate da questo incedere atipico.

I rapporti tra i personaggi sono ad esempio un po' pasticciati, proprio per questa scansione duplice del tempo. È una sfida ambiziosa tenere per la fine episodi che si svolgono all'inizio, per il gusto di mostrarne subito dopo il risvolto negativo o problematico di sette anni dopo. Funziona sì e no, non è tutto pienamente convincente e tutto sommato - vista la durata del film - ci si poteva aspettare una maggiore cura anche per le sorelle non protagoniste.

Poco male, c'è così tanto carisma nei volti della Ronan (per me eccezionale) e della Dern che basterebbe quasi solo quello per fare un buon film. Ma poi c'è anche la Pugh che è brava, e le musiche di Desplat accompagnano piacevolmente. Chalamet fa il suo solito personaggio e ovviamente funziona. Meryl impeccabile anche se non mi è piaciuta granché la figura della zia. Direi quasi ridicola nella sua visione retrograda.

Ecco, non è il grande film che probabilmente la critica sta vendendo in giro. È imperfetto, furbo, ma anche pieno di talento, davanti e dietro la macchina da presa.

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