Narra Mathilde, nell'incipit del film. Narra d'amori, di storie, di uomini e delle loro vite... E li fa rivivere attraverso la sua voce fuori campo. Narra di speranze massacrate, di esistenze recise come fragili fiori in primavera, di crudeltà e tenerezza, fedeltà ed ipocrisia; ne raccoglie gli ultimi brandelli, sepolti sotto la coltre della memoria collettiva della gente ancora scossa dalla tragedia, riportando alla luce storie e passioni scritte su vecchie carte ingiallite, ma non ancora obliate. Narra, e rivive tutto in prima persona, lei che al dramma non è capace di rassegnarsi...

Affetta dalla poliomielite, orfana dall'età di due anni ed adottata da una coppia di zii che, pur non riuscendo a comprendere i suoi sentimenti più profondi, la supporta in ogni sua più piccola scelta, Mathilde è la tipica sognatrice romantica del dopoguerra, dotata di un'invidiabile tempra che, nella Francia del 1919, da poco uscita dall'incubo della prima guerra mondiale, ricompone gli infiniti tasselli di un enorme puzzle per ritrovare il suo giovane amore, Manech, presunto condannato a morte per aver cercato il congedo dal fronte con un'automutilazione, assieme ad altri quattro sfortunati compagni, nello "sperduto" e quasi surreale avamposto Bingo Crepuscolo.

"Una Lunga Domenica Di Passioni" (titolo originale "Un Long Dimanche De Fiançailles"), è il quinto lavoro di Jean-Pierre Jeunet, regista francese conosciuto ed apprezzato dai più per il famoso film "Il Favoloso Mondo Di Amélie", dal quale riacquista l'attrice protagonista, la bella Audrey Taotou, novella ninfetta del cinema d'oltralpe piena di carisma ed innegabile talento. Il lungometraggio, uscito nelle sale nel 2004, vive di continui contrasti ed amalgami: da una parte rinveniamo il grigiore della trincea, sommersa dal fango, dalla pioggia e dal sangue dei cadaveri dilaniati dei soldati, trasposta sulla pellicola con truce realismo, ma quasi priva di quell'eccessiva ed autoreferenziale celebrazione della violenza comune a molte altre realizzazioni; dall'altra l'intimità dei caldi colori pastello che, accompagnata dalle romantiche fughe d'archi della colonna sonora di Angelo Badalamenti (noto collaboratore di David Lynch) e da scorci di radure e scogliere al tramonto che mozzano il fiato, dipingono la "magia" della vita di Mathilde, tra una Parigi perfettamente ricostruita ed una tranquilla casetta agreste, macchiata dalle continue - e non prive di un certo tasso d'ironia - mortificazioni dei bizzarri compagni d'avventura (avvocati, detective privati e conoscenti delle cinque ipotetiche vittime di Bingo Crepuscolo) e dalla fuorviabile caratura degli indizi raccolti sul proprio cammino verso la verità, ma tenacemente sostenuta da un coraggio sempiterno.

Ottima la fotografia di Bruno Delbonnel, così come la regia, che non molto spesso fa un ottimo uso delle tecniche digitali, e la scenografia curata Guillaume Laurant e dallo stesso regista, che non ci risparmia da alcuni azzeccati colpi di scena hollywoodiani (lo scoppio di un dirigibile, le "avventure" erotico-noir della vendicativa Tina Lombardi); arzigogolata e romanzata, ma ampiamente coinvolgente la vicenda basata sull'omonimo romanzo di Sébastien Japrisot, ed azzeccata la scelta del cast, nel quale segnaliamo un piccolo ma efficace cammeo di una sempre splendida Jodie Foster, accorsa ad interpretare uno dei tanti personaggi presenti nella trama che altro non sono che un piccolo tassello di quel puzzle che Mathilde tenta di ricostruire.

Commovente è il finale che, pur nella sua prevedibilità, mantiene tutto il gusto del trionfo, della bellezza e dell'ingenuità, del ritorno all'infanzia, e di quell'amore utopico che, nonostante tutto, non si spegne mai, facendo calare il sipario sull'ennesimo bel film a sfondo bellico, sulla scia de "Il Paziente Inglese" e "Salvate Il Soldato Ryan" (pur perdendo, con questi ultimi, la sfida in drammaticità), purtroppo poco apprezzato da coloro che speravano nell'assenza di un retaggio favoleggiante, da altri apprezzato, della precedente opera del regista francese. Da vedere.

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