"Questa strada gira tutt'intorno al mondo".

Mike Waters è un orfano che si prostituisce, che si droga, affetto da una grave forma di narcolessia. E' alla ricerca di sua madre, che non ritroverà mai e che continua a sognare nei suoi baudelairiani paradisi artificiali. Intorno a lui si stringe una compagnia di tossicodipendenti, ubriaconi, vagabondi fra i quali c'è Scott Favor, figlio del sindaco della città di Portland, nauseato dalla figura paterna e per questo disceso nei bassifondi, in segno di protesta. Fra Mike e Scott si instaura una profonda amicizia che per il primo diventa amore, per il secondo rimane affetto. Eppure, nonostante le divergenze sentimentali, vivono un rapporto esclusivo che li isola dall'intera comunità di sbandati, incluso Bob Pigen, il grande capo, anche lui innamorato di Scott. Favor decide di aiutare Mike nella sua ricerca della madre. Nell'Idaho, Mike scopre di essere figlio di un incesto, come gli rivela il fratello-padre Dick, che gli riferisce alfine la fuga della madre a Roma. I due partono e Scott trova l'anima gemella, Carmela, in un decadente podere di campagna. Al rientro negli Stati Uniti tutto è cambiato: il padre di Scott è morto e lui torna sui suoi passi, raccoglie l'eredità che gli spetta e si adegua all'immagine paterna per poi sposare Carmela, decisione che deluderà al crepacuore Pigeon. Mike continua la sua triste vita, accompagnato dal dolore e dalla solitudine.

Gus Van Sant è agli esordi (1991) con un'opera di culto della cinematografia indipendente, in fin dei conti l'ambito in cui il regista statunitense da il meglio di sé. Per la sua terza pellicola riadatta in parte l' "Enrcio IV" di Shakespeare, ripesca il road movie e la cultura beat, riesuma e riadatta alle sue esigenze l'immaginario gay comune. Il punto di forza sul quale è impostato il film è il personaggio di Mike che si identifica nell'accezione primaria e depurata del termine "protagonista". La sua figura riassume e concentra in sé tutte le tematiche che Van Sant ha intenzione di affrontare: l'assenza della famiglia come principale motivo di una vita adulta instabile e tormentata, la narcolessia come espressione metaforica di un disagio esistenziale, la ricerca di un punto di riferimento, sempre più distante, l'infelicità amorosa. Paradossalmente, il personaggio sembra non aver perso quella sorta di purezza infantile nella malattia e nella sua attività di gigolò, purezza suggerita forse anche dal suo aspetto fisico etereo e delicato. Con le dovute differenze, nella narcolessia di Mike si potrebbe scorgere l'epilessia del principe Myskin dostoevskijano, riferimento più casuale che premeditato. River Phoenix (Mike, Coppa Volpi a Venezia, prematuramente scomparso) si dimostra un interprete eccezionale che riesce a occupare la scena senza ricorrere a stratagemmi gigioneschi ed esasperata mimica facciale. Puramente verosimile. A confronto Keanu Reeves (Scott) recita in modo mediocre, salvo la scena in cui mette in scena proprio l' "Enrico IV", farsesco ma convincente.

La raffinatezza stilistica di Van Sant si fa palese, quasi manierata, nelle scene di sesso fra Scott e Carmela (Ancor prima quella fra i due personaggi principali e un tedesco incontrato in un albergo) realizzate mediante una serie di fotogrammi che riprendono gli attori immobili nell'amplesso, privi d'azione. Eleganza e originalità compromesse da alcuni fattori grotteschi, primo fra tutti l'origine incestuosa di Mike, eppure gli abbondanti riferimenti culturali, dal "Falstaff" al già citato "Enrico IV" salvano in calcio d'angolo.

La famiglia è un tema ricorrente in Van Sant. Chi ha già avuto modo di apprezzare il suo cinema, avrà di sicuro notato la ricorrenza dell'argomento in questione: in "Elephant", ad esempio, basterebbe guardare il rapporto fra l'albino protagonista e suo padre alcolizzato e alla sottile polemica rivolta contro due istituzioni fondamentali quali la scuola e la famiglia stessa. Anche con "My own private Idaho", il regista connette gran parte del disagio vissuto da Mike alla mancanza di un ambiente familiare confortevole e della madre. Durante gli attacchi di narcolessia Waters immagina una casa completamente isolata dove vive insieme a sua madre e Scott. La malattia si qualifica quindi come un tacitiano "male necessario": il protagonista vive in una dimensione onirica, inconscia una realtà parallela che gli permette di evadere. Un personaggio diverso dai soliti sballatoni presenti in numerose pellicole che fingono cinema indipendente sulla scia della falsa convinzione che un po' di sesso, droghe e alcool basti per realizzare un opera sincera, indescrivibile e impegnata. Come "My own private Idaho".

P.S.: La traduzione italiana del titolo, oltre che avere poco a che fare con ciò di cui esso si sostanzia, potrebbe indurre a pensare che si tratti di un porno-gay et similia. Avrei dovuto dirlo in prefazione ma lascio una postilla per segnalare tutto il mio odio verso l'utilizzo di titoli tradotti, specie quando non sono la traduzione letterale.

"Il principe, immobile, gli era seduto accanto sul giaciglio e, a ogni grido o accesso di delirio del malato, si affrettava a passargli dolcemente la mano tremante fra i capelli e sulle guance, come per carezzarlo e calmarlo. Ma non capiva più nulla di quanto gli si domandava e non riconosceva le persone che erano entrate e gli stavano intorno. E se lo stesso Schneider fosse arrivato ora dalla Svizzera per visitare il suo antico discepolo e paziente, anch'egli ricordandosi dello stato in cui si trovava qualche volta il principe nel primo anno di cura, in Svizzera, avrebbe fatto con la mano un gesto di scoraggiamento e avrebbe detto, come allora: - Idiota! - ."

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