Hank Mobley, definito da Leonard Feather: "The middleweight champion of the tenor saxophone", tra i sassofonisti jazz americani è stato quello più ingiustamente trascurato e dimenticato dalla critica musicale e dal suo stesso pubblico. Eppure ha fatto parte delle formazioni di alcuni tra i più grandi musicisti della sua epoca come: Miles Davis, John Coltrane, Dizzy Gillespie, Lee Morgan, Johnny Griffin e Art Blakey, fornendo il suo importante contributo ad alcune delle registrazioni più rilevanti e apprezzate nella storia del jazz.
Hank, nato in Georgia nel 1930 era cresciuto nell'area di Newark nel New Jersey, e qui aveva cominciato a suonare da autodidatta. A 19 anni aveva provato a emergere sulla scena musicale della “Grande Mela” prima con il sax contralto, per poi passare al sax tenore e infine al sax baritono, avendo compreso che era perfettamente inutile entrare in competizione col grande Charlie “Bird” Parker.
Il suo timbro e il suo stile inconfondibili, erano arricchiti dalla sua fervida inventiva musicale. Tuttavia, a causa della sua personalità schiva e solitaria (in tutta la sua carriera concesse solo due interviste), ma soprattutto per la dipendenza dagli stupefacenti (la sventura di molti, anzi troppi jazzisti), numerosi suoi dischi restarono inediti mentre lui era ancora in vita. Infatti, lo stesso Mobley dichiarò in un intervista: “I have about five records on the shelf: Blue Note signed half the black musicians in New York City, and now the records are lying around. What they do is hold them and wait for you to die”. Una dichiarazione a dir poco profetica visto che alla sua morte, avvenuta a soli 56 anni il 30 maggio del 1986, lo avevano dimenticato tutti e praticamente viveva in condizione di indigenza.
La prima condanna di Mobley per possesso e spaccio di eroina, in effetti, arrivò almeno tre anni prima che ne diventasse lui stesso dipendente, con la conseguente disposizione prima del regime di libertà vigilata, e in seguito di due periodi di detenzione, il primo sul finire degli anni cinquanta, il secondo nel 1964.
Proprio durante questo secondo periodo trascorso in carcere scrisse tutti i cinque brani di un album ispirato dall´ascolto di “Birth of the Cool” di Miles Davis. Una volta terminata la scrittura dei pezzi, nei primi mesi del 1966, consegnò la musica e una serie di dettagliate istruzioni al grande Duke Pearson che ne curò gli arrangiamenti. E´ ben nota la stima e ammirazione di Hank nei confronti di Pearson, tanto che gli scrisse: "'If I do it, it might take me two weeks, but you can do it in one day'".
In breve è questa la storia della genesi di “A Slice of the Top” (LT 995), registrato al Rudy Van Gelder Studio di Englewood Cliffs (NJ) il 18 marzo 1966, sotto l´egida di Alfred Lion, il Guru della Blue Note Records, con gli splendidi arrangiamenti di Duke Pearson e dello stesso Mobley.
Questo album, tuttavia, fu dato alle stampe solo tredici anni dopo, nell’ambito della Collana LT Series. Il motivo che causò il suo “insabbiamento” negli sterminati archivi della Blue Note, fino a quando nel 1979 Michael Cuscuna non lo riportò alla luce per nostra fortuna, resta tutt´oggi un grande mistero, soprattutto perché, insieme a “Soul Station” (1960), è sicuramente la migliore creazione di Mobley, ma anche una delle migliori incisioni mai registrate in quel periodo dalla stessa etichetta discografica.
La line-up selezionata dal nostro band-leader è composta dai monumentali: Lee Morgan alla tromba, Bernard McKinney aka Kiane Zawadi all´eufonio (meglio noto come flicorno baritono), Howard Johnson alla tuba, James Spaulding al sassofono contralto e flauto, McCoy Tyner al pianoforte, Bob Cranshaw al contrabasso e Billy Higgins alla batteria.
Questo strepitoso ottetto ci regala un inconsueto mix di cinque ottoni: il sax tenore di Mobley che si contrappone al sax contralto e al flauto di Spaulding, a questi si aggiunge la tromba “speziata” di Lee Morgan, infine la tuba di registro medio di Johnson e l´eufonio di Zawadi fanno virare il registro greve verso una sonorità più vivace e allegra, ben diversa dal convenzionale abbinamento di ottoni baritoni e tromboni tipico della scena jazz Hard Bop di quel periodo.
Si parte con "Hank's Other Bag" dove l´ascoltatore trae piacere nell'assaporare la bellezza del timbro di Mobley che, influenzato da Miles Davis e da Trane, rinunciò consapevolmente alla ricerca del dettaglio preferendo concentrare tutte le sue energie sul ritmo. Questo lo si può percepire molto bene nell´assolo di "A Touch of the Blues" sul lato B del disco, costituito in gran parte da semplici figure ritmiche, cosa che sarebbe stato inconcepibile solo pochi anni prima.
Una caratteristica particolare di questo capolavoro è anche l'insolita struttura delle sue composizioni. In "A Touch of the Blues", per esempio, ci sono ben 40 battute; inoltre l´eccentrica vamp (breve sequenza melodica o armonica ripetuta ininterrottamente, in altri termini un loop) orientaleggiante che occupa 16 battute delle 24 complessive in "Slice of the Top", ancora la vamp che regge il valzer minore in "Cute 'N' Pretty"; mentre in "Hank's Other Bag" in principio sembra che Hank torni verso l´ambito abituale dei suoi temi Hard Bop, ma improvvisamente la melodia prende una direzione brillante con una struttura di 28 battute.
A mio avviso la ballata "Lull In My Life" è il brano più avvincente dell´album, costituendo un ulteriore esempio di come il talento espositivo di Hank sia capace di rendere una ballata notevole senza alterarne il contenuto originale. La straordinaria improvvisazione del secondo ritornello si regge su un fitto intreccio ritmico, che Mobley crea aggiungendo melodie a doppio tempo al doppio tempo di Higgins, in modo molto più chiaro e brillante che nell´assolo di "Hank´s Other Bag".
Gli anni '70 e ´80 furono un periodo molto difficile per Mobley. Si spostò frequentemente tra New York e Chicago, dove guidò un quintetto straordinario che comprendeva il batterista Wilbur Campbell e il pianista Muhal Richard Abrams. A metà degli anni settanta si stabilì definitivamente a Philadelphia, dove lavorò in modo discontinuo perché fu sottoposto a ben due interventi di chirurgia toracica, in conseguenza dell´enfisema polmonare sviluppato per il tabagismo, che gli impedirono di suonare per lunghi periodi. Gli ultimi, ingaggi furono all’Angry Squire di New York a novembre 1985 e gennaio 1986 con il quartetto del pianista Duke Jordan. Mori quattro mesi dopo in seguito a una crisi respiratoria dovuta a una polmonite severa.
Dalle sue ultime registrazioni, pur conservando intatta tutta l’energia e la limpidezza ideativa di cui Mobley era capace, traspare il sottile presagio della fine imminente. Il suo suono si fece più aspro e spigoloso, quasi a voler contrastare l’approssimarsi degli eventi avversi che di li a breve lo avrebbero travolto. Vi si percepisce tutta la frustrazione di chi, pur avendo avuto tutte le carte in regola per diventare un grande, era stato invece costretto nelle retroguardie. Del resto non è proprio il dolore che permea la musica blues, la componente essenziale del jazz, come forma di liberazione e riscatto dell’anima umana gettata nel mondo e obbligata ad affrontare giorno dopo giorno gli affronti della vita?
“It's hard for me to think about what could have been and what should have been. I've lived with Charlie Parker, Bud Powell, Thelonious Monk; I've walked up and down the street with them. I didn't know what it was like to hear them cry, until it happened to me”. Hank Mobley.
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