Negli anni 80, in America, nacquero due delle principali correnti del genere metal, una nella Bay Area di San Francisco, l'altra sul Sunset Strip di Los Angeles. Sto ovviamente parlando di Thrash e Glam metal. Se il primo rappresentava quanto di più estremo fosse all'epoca ascoltabile, l'altro riuscì a far esplodere a livello commerciale l'hard'n'heavy, portando il genere a scalare le classifiche di mezzo mondo e a farlo entrare nel mainstream rock. I due generi, concettualmente agli antipodi, divennero in quella decade "acerrimi nemici" e non riuscirono mai a influenzarsi l'un l'altro.

A circa 25 anni di distanza ci provano gli Hardcore Superstar, provenienti dalla fredda Svezia, a mescolare i due generi. Nati nel 1998 ed esorditi discograficamente nel 2000, il gruppo è passato da un iniziale hard rock con forti spunti pop ad un netto irrobustimento del sound a partire dall'omonimo album del 2005. Da quel momento i nostri iniziano a dichiarare di avere tra le proprie influenze principali i due suddetti generi e di volerli fondere nella loro proposta. Il qui recensito "Beg for it" rappresenta, a detta del sottoscritto, il punto definitivo di tale amalgama. Nell'operazione, fondamentale si è rivelato l'ingresso nella band del nuovo chitarrista Vic Zino, di chiara impostazione metal, entrato nella band come sostituto del defezionario Silver. Il risultato finale può essere descritto come un glam metal decisamente più robusto e meno laccato di quanto lo fosse la proposta musicale dei gruppi originali della scena. Allo stesso tempo però il gruppo non si dimentica certamente di piazzare nei propri brani una bella dose di melodia e ritornelli facili e diretti.

L'album si apre con un chiaro omaggio al compositore nostrano Ennio morricone, un intro ricca di enfasi e magniloquenza. Dalla seguente title-track, passando poi per le varie "Shades of grey", "Nervous Breakdown", "Remove my brain", fino alla conclusiva "Innocent boy", graziata da una coda finale adrenalinica, sembra di fare un giro sulle montagne russe, con brani che scorrono veloci e coinvolgenti e, proprio come un giro sulla famosa giostra, il divertimento è assicurato.

Una menzione d'onore la merita il brano "Hope for a normal life", ottima ballad che si discosta sensibilmente da quanto proposto nel resto del disco e che risulta vincente grazie ad una bella melodia portante e ad un ottimo assolo di chitarra piazzato nel mezzo della song. Un' altra citazione speciale la merita il brano "Don't care 'bout your bad behaviour", dotata di una sezione ritmica esplosiva e di un ritornello coinvolgente e ben studiato.

In definitiva, pur non apportando nulla di particolarmente innovativo, la band è stata in grado di scrivere un album vincente e ben congegnato. Il disco non si rivela di certo un'opera da intellettuali della musica, ma allo stesso tempo si dimostra adattissimo a chiunque voglia passare un'oretta in compagnia di un pò di sano e semplice metal.

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