Quando i cosiddetti EP (alias Extended Playing… dischi a metà strada fra singolo ed album) hanno come supporto il dischetto digitale, può avvenire che durino quasi come un LP: il cd qui presente contiene infatti sette brani per quasi trenta minuti.

La sua origine “rabberciata” (lo si evince anche dalla copertina, eufemisticamente parlando assai poco di design) si deve all’intenzione della multinazionale discografica di uscire sveltamente sul mercato giapponese con qualcosa che tenesse il ferro ben caldo per quell’anno (1994), intanto che il gruppo si ingegnava a comporre il terzo album, uscito poi nel 1995. Le scritte in lettere nipponiche abbondano infatti nel libretto di questo cd.

E sì gli Harem Scarem, canadesi, andavano (vanno) alla grandissima nel paese del sol levante, cosicché nella scaletta di quest’opera si fanno compagnia, mischiati l’uno con l’altro, due versioni unplugged di brani già pubblicati, tre registrazioni dal vivo ed a piena amplificazione di brani a loro volta già pubblicati, ed infine due missaggi alternativi di canzoni già comprese nei due loro primi album, una acustica e l’altra amplificata.

Ritagli e frattaglie, insomma, roba per affezionati e per completisti. Ciononostante, quest’opera può essere un ottimo tramite per accostarsi a questo gruppo cosmicamente bravo oltre che onesto, prolifico e grintoso.

È un buon veicolo per scoprire, o quantomeno verificare, quanto sia brillante il chitarrismo di Pete Lesperance, il quale anche con una semplice chitarra acustica dipinge linee melodiche ed arpeggi di alta classe, condita da un suono perfetto. Non gli è da meno il socio Harry Hess, con quel suo timbro appena roco e drammatico.

Melodie, armonie, ritmo, intuizioni d’arrangiamento e qualche assolo d’alta scuola non mancano certo, come del resto più o meno in tutti i loro dischi. Gli highlights, a mio giudizio, stanno nel rigoglioso attacco di acustica dell’apripista “Honestly” (suono di chitarra migliore non ve n’è), nell’accompagnamento chitarristico delle strofe in “No Justice” (smanettamento geniale della manopola del volume), nel sincopato strettissimo e croccante sulla versione acustica di “Jealousy”, nei cori della finale “Something to Say”, invero decisamente invariata rispetto alla versione originale che chiudeva il loro album di esordio.

Gli Harem Scarem, figli legittimi di Queen, Van Halen ed Extreme, fanno parte della mia personale Santissima Trinità canadese, insieme a Saga e Rush. La massima stima.

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