Harold Budd mi aveva già preso per mano nell'incantato sogno traslucido di "The Pavilion of Dreams" ove il suo diteggiare lieve aveva dato vita ad una creatura impalpabile sospesa tra tintinnii adamantini e salmodie celesti. Era questo il baluginante albore del suo magnifico viaggio, un nuovo linguaggio musicale in grado di armonizzare elementi della musica classica, jazz e della allora attuale avanguardia minimalista per creare qualcosa di mai esperito prima e che avrebbe fertilizzato il terreno delle sperimentazioni ambientali di Brian Eno e dato il la ai primi vagiti della musica new age.
Dopo i magnifici madrigali del Padiglione dei Sogni, gradualmente e consapevolmente il compositore californiano abbandona la strumentazione orchestrale ben assortita tra celeste, marimbe e glockenspiel e si raccoglie davanti al solo pianoforte creando una nuova tessitura sonora che si avvale costantemente dell'uso calibrato del pedale e che colora la sua luminosa opera con le soffuse tonalità delle nubi madreperlacee. Ne è magnifico esempio l'affresco sinfonico di "The Plateaux of Mirror" composto e suonato a quattro mani con Eno a guisa di nuovo capitolo del nascente astro della musica ambient, ma ancor più rappresentativo di questo elegiaco sentire è lo splendido EP "The Serpent (In Quicksilver)" del 1981.
Poco più di venti minuti per riconciliare la memoria alla percezione attraverso un lungo istmo di malinconia e patema d'animo. Sei piccoli acquerelli con la vetta emotiva di "Children of the Hill" verso cui converge tutta l'opera collocando il brano nell'esatto centro temporale dello svolgimento del tema musicale. L'iniziale "Afar" e soprattutto l'inquieta sinfonia al piano di "Wanderer" sono i preliminari logici che riescono già ad enunciare la poetica dell'opera, col già citato uso prolungato del pedale che traduce in un'atmosfera malinconicamente onirica i temi della lontananza e dell'incessante peregrinare. "Rub with Ashes" è probabilmente un temporaneo sospiro di sollievo, un piccolo quadretto minimalista che sarebbe stato caro a Mertens o a Nyman, prima dell'entrata in scena di "Children of the Hill". È qui che pende a filo di piombo la poetica tutta di Budd, in questi cinque minuti di dolorosa indulgenza al panismo che lega la natura umana alla percezione dell'esistenza. La collina è, nel quieto immaginario di un tramonto pomeridiano, abbastanza lontana da poter essere percepita come altra da sé, perché nell'ascolto non si può che rimirarla da estranei spettatori, ma abbastanza vicina nell'esperienza del ricordo da poterla rivivere, giacché quell'immagine di bambini tristemente festanti su un atollo remoto è inconsciamente nel memoriale di ciascun uomo davanti alla sua spoglia solitudine. Celebra tutte le pendenze, gli occasi, gli autunni, le vecchiaie. Celebra i fiori avvizziti e le foglie canescenti. Celebra le ingiallite brughiere. Celebra carillon impolverati e con sé tutta la vita nel suo lento decadere.
Dopo il dolceamaro declivio della collina tutto il resto potrebbe apparire esornativo, ridondante. Eppure anche qui il magnifico incanto di Budd riesce a porre un dorato sigillo sulla breve opera che già ha raggiunto in graduale divenire la sua vetta più alta: propone prima il quadretto statico e istantaneo di "Windows Charm" che pare quanto di più vicino alle speculazioni ambientali di Eno, e poi chiosa con la serica armonia di "The Serpent (in Quicksilver)" in cui una semplice melodia acustica doppia, evanescendo lentamente, una scarna frase introduttiva al piano elettrico.
Più veloce e impalpabile di un battito d'ali l'incantesimo svanisce trascinando con sé l'afflato malinconico di un ibisco che si richiude su se stesso al principio del vespro. Il mirabile viaggio di Harold per le solatie strade della percezione è terminato e tutti i luoghi della memoria che lo avevano popolato svaniscono. Svaniscono le lontananze e i pellegrinaggi. Svaniscono le ceneri e i serpenti, le ingiallite brughiere e le foglie canescenti. Svaniscono gli occasi e i memoriali. Svaniscono le spoglie solitudini. Svaniscono i bambini sulla collina.
Svanisce la collina.
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