Concludo questo mini ciclo di recensioni (me ne scappo in vacanza), con quello che è, forse, il miglior film d'animazione di tutti i tempi, e non me ne vogliano i disneyani più oltranzisti (io adoro l'epoca d'oro di casa Disney, periodo 1937-1942) o gli amanti di un cinema orientale più sporco e diretto (qualsiasi riferimento a opere come “Una tomba per le lucciole”, che è bellissimo, non è puramente casuale).

Togliamoci subito ogni dubbio, alla domanda più canonica, “Quali sono i tuoi tre film preferiti di Miyazaki?”, il qui presente risponde, senza ombra di dubbio alcuno, 1. Il mio vicino Totoro (1988); 2. La città incantata (2001); 3. Il castello nel cielo (1986). E Howl quarto, tiè. E allora perchè dici che quello che tu consideri secondo è migliore di quello che consideri primo? Semplice, Totoro è bellissimo, ma a ben vedere è meno sfaccettato e complesso de “La città incantata”, alla lunga è più poetica, ma è fanciullesco, lo amo come ricordo personale, è stato il primo mio Miyazaki, ma il film del 2001, Orso d'oro a Berlino (il primo dato ad un film d'animazione, a pari merito con “Bloody Sunday” di Peter Greengrass, mah...) e Oscar come miglior film d'animazione è tutta un'altra cosa.

A ben vedere, “La città incantata” non ha nulla che Miyazaki non avesse già detto in altri suoi film, anzi, tutti i temi trattati li aveva già trattati altrove. La natura come soggetto vivo e umano da rispettare sempre e comunque; l'infanzia come qualcosa da custodire, quasi, all'infinito; un pittoricismo classico che comprende l'uso del digitale, ma a piccole dosi; l'eterno discorso sul volo; l'antimilitarismo più fervente, insomma tutto già detto. Eppure, tutti questi temi, in questo film è come se si sublimassero, se fossero portati al massimo del proprio potenziale, tanto che mai nessun altro suo film, dopo questo, avrà lo stesso tipo di forza autoriale e immaginifica. Nemmeno Howl, che ne è un buon “seguito”, ma la montagna di personaggi che qui si affastellano, la montagna di scenografie coloratissime e complessissime (la toponomastica della città incantata è un vero e proprio esercizio architettonico visivo) e la montagna di spunti narrativi sono lo zenith del Miyazaki pensiero, e dello Studio Ghibli più in generale.

Sfidando le logiche più comuni della fisica e della narrazione, inventandosi un mondo in cui si confondono, costantemente, cattivi e buoni, Miyazaki ricompone a suo modo il mondo folle e geniale di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll, adattandolo alla cultura nipponica (di cui qui fa uso massiccio nelle simbologie, anche se nel successivo Howl sarà ancora più preciso, e forse meno comprensibile ad un pubblico occidentale) e costruisce scene di grande impatto evocativo, alcune simil-horror (si veda l'iniziale trasformazione dei genitori della protagonista in enormi maiali) e tutti, ma tutti davvero, i personaggi rimangono nella memoria anche dopo una sola visione, dall'ambiguo principe Haku alla inquietante strega Yubaba (che domina la città incantata), dall'uomo delle caldaie con baffoni e innumerevoli gambe alla protagonista Chihiro, vera e propria campionessa di crescita (dall'adolescenza all'età adulta per salvare i propri genitori). Alcuni passaggi, poi, sono addirittura magniloquenti, si veda tutta la lunga sequenza centrale del Dio putrido del Fiume. Altri sono apici di commozione difficilmente raggiunti in un film d'animazione (il viaggio finale sulla ferrovia sommersa dall'acqua).

Un kolossal d'animazione che non dà tregua, nel ritmo e negli aspetti visivi, condito dalla colonna sonora di Joe Hisaishi, splendida. Credo sia un film che conoscano tutti, trovavo giusto spendere due parole. Buone vacanze a tutti.

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