La tripletta di film di Miyazaki riproposti al cinema nel 2014 è cominciata con il bellissimo Principessa Mononoke, riadattato e ridoppiato per l'occasione. Le avventure di Ashitaka e San sono una meravigliosa favola ecologista, ma a differenza di tanti altri film (Avatar) non cadono nel facile tranello di scindere in modo manicheo le due fazioni, uomo e natura. Miyazaki individua con gran raffinatezza logica una serie di gradazioni diverse nel pensiero ecologista o anti-ecologista. Il mondo degli uomini come quello degli animali è composto da tanti punti di vista differenti.

Quindi abbiamo il grande re dei cinghiali giganti Okkotonushi che sceglie lo scontro frontale con gli uomini, Moro la lupa, madre adottiva di San, che preferisce invece una via non violenta e fatta di accettazione anche della morte; la ragazza San che rifiuta le sue origini umane e non accetta di ritornare alla civiltà, nonostante l'invito della madre e dell'innamorato Ashitaka. Di riflesso, le gerarchie degli umani sono egualmente diversificate e complesse: Lady Eboshi è molto simile ad un villain, ma in realtà non lo è completamente, se pensiamo che la cosiddetta Fucina è una comunità che vive in grande armonia, pur lavorando faticosamente: le donne sono emancipate ed attive, gli appestati hanno un loro spazio in cui vivere e sentirsi parte della società. Oltre alla complessa figura di Eboshi, ovviamente abbiamo il protagonista a fare da punto di congiunzione e composizione armonica tra la logica animale e quella umana. Forse solo lui ha veramente chiara in mente la possibilità di coesistenza tra le due controparti.

La struttura del conflitto è quindi assai complicata dalle divergenti volontà dei singoli: i due fronti non sono compatti e omogenei, perciò si sfrangiano in una quantità di sotto-trame e sviluppi paralleli. Gli animali come gli uomini si scontrano anche tra di loro: i cinghiali e i cani selvatici (non era più facile chiamarli lupi?) hanno filosofie diverse, gli oranghi vorrebbero cibarsi di Ashitaka, non c'è una vera unità d'intenti tra le diverse razze. Il Dio bestia è un'entità sfuggente, fantasmatica: ogni specie animale ne dà una sua interpretazione, ne legge le azioni secondo una certa chiave di lettura.

Allo stesso modo, e a maggior ragione, la fazione degli umani è attraversata da contrasti durissimi, che anzi sfociano in violenza vera, potremmo dire fratricida. I samurai attaccano la Fucina mentre Lady Eboshi è fuori, gli abitanti stessi della città si distaccano dalla Lady nel momento in cui Ashitaka spiega loro la gravità della situazione. Mentre gli uomini di Jiko-Bō, in un primo momento creduto saggio ma rivelatosi poi traditore spietato, seppur sempre al limite della comicità, sono la vera forza devastatrice e senza scrupoli, che non si pone limiti morali a fronte della necessità di raggiungere il loro obbiettivo: tagliare la testa al Dio bestia.

La questione ecologista viene quindi sviluppata con grande profondità: non è l'uomo (ovviamente) a vincere, ma nemmeno la furia cieca degli animali volta a preservare il bosco: Ashitaka, umano ma infettato dalla rabbia animalesca di un cinghiale/dio maligno, comprende la legittimità di entrambe le posizioni ed infatti è lui a risolvere la crisi. Il Dio bestia decapitato sta distruggendo ogni cosa: il nostro eroe riuscirà a riconsegnargli la testa e far rifiorire meravigliosamente la natura. Questo però non comporta l'estinzione degli uomini, ma semmai lo sviluppo di una loro coscienza ambientale più forte. La stessa Eboshi non è malvagia; ambiva solo a dare ricchezza e rigoglio alla sua città. Il problema è sempre come si fanno le cose; l'uomo ha il diritto di prosperare, ma non deve farlo necessariamente annichilendo il mondo della natura.

Esteticamente parlando, il film presenta un armamentario visivo splendido, ma non così sfolgorante come quello di altri capolavori: a prevalere è una visione realistica del mondo, per quanto ovviamente deformato dal magico e dal divino. Il senso del fantastico si insinua in modo più sottile rispetto ad altri film del maestro Miyazaki: certo, ci sono degli animali giganteschi, c'è il Dio bestia che si trasforma e fa miracoli, ma il comparto visivo si sofferma soprattutto sulla dimensione più ordinaria e non sovrannaturale dei fatti: prevalgono nettamente scene naturalistiche, dialoghi, lotte e scontri violenti. Il magico non è soverchiante come nel Castello errante di Howl, la tecnologia non è poi così stramba e retro-futuristica (Laputa, Il castello errante, ecc), le creature non così assurde (La città incantata). Le deformazioni del reale paiono più finalizzate alla metafora e all'intensificazione del vero, che alla smentita dello stesso.

Questo non toglie nulla al godimento estetico, che come in ogni film del maestro è elevatissimo e costante. I colori brillanti, la bellezza dei disegni, la regia nelle scene più movimentate; ogni elemento è utile alla resa finale che definire estasiante è poco. Sono passati quasi 20 anni ma la tecnica di questo cartone animato pare pressoché perfetta. Alcune scene ambientate nei boschi toccano vertici di poeticità assolutamente rari; i Kodama che seguono Ashitaka e lo guidano, il Dio bestia che giunge, nel silenzio assoluto, e porta guarigione o morte, a seconda dei casi. Il piacere visivo e la suggestione emotiva di questi passaggi infondono magia ad una pellicola già molto solida di per sé.

Unico neo di questa nuova edizione italiana, di certo non imputabile a Miyazaki, è la traduzione di alcune parole. La cosa fa storcere un po' il naso, visto che il film è appena stato riadattato: in italiano non si dice «vi sono obbligato» per ringraziare, alcune parole non sono tradotte in italiano standard, ma secondo varietà regionali (ora non ricordo con precisione quali, ma la stonatura era netta). Infine, si poteva trovare una perifrasi un po' più elegante per identificare il dio del bosco.

Concludendo; un film di grande valore, che stimola la riflessione dello spettatore sulla questione uomo vs natura e lo delizia con la consueta qualità visiva e creatività immaginifica. Tecnicamente il maestro riuscirà anche a fare meglio, ma in quanto a contenuti questo è il suo capolavoro più grande.

9/10

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