Negli anni '90 la World music godeva fra musicisti, critica e pubblico di un enorme credito, talvolta immeritato. Non sempre, infatti, le produzioni discografiche riflettevano reali operazioni di ricerca etnomusicale, ma a volte si risolvevano in banali operazioni di mercato.

Così non può dirsi per Hector Zazou, poliedrico musicista e compositore franco-algerino, il quale al tempo lavorava intorno a progetti tematici impegnativi e ben delineati, quali, ad esempio, lo studio dei canti polifonici corsi (Nouvelles Polyphonies Corse, 1991), il viaggio immaginario tra il Sahara e la poesia del “maledetto” Rimbaud (Sahara Blue, 1992 ). “Chansons des mers froides” (1994), invece, rappresenta una rivisitazione delle tradizioni musicali dei paesi artici. Un viaggio fra i mari del nord, una ricerca durata più di tre anni, un lavoro complesso e difficile. Zazou ci prende per mano e ci conduce in una terra dove la musica si identifica con la natura.

Per farlo si affianca a numerosissimi musicisti, alcuni originari dei mari freddi come Bjork, Lena Willemark, Ale Moeller, i Varttina, altri ad essi del tutto alieni, quali Suzanne Vega, John Cale, Siouxsie, Jane Siberry, i Balanescu Quartet, tanto per citarne alcuni.

Il risultato? Un disco estremamente affascinante, per la struttura eterogenea, ma non confusa dei suoni amalgamati su uno sfondo elettronico e costituiti da voci, tastiere, percussioni, chitarre, mandole ecc. Si veda, ad esempio, il dialogo fra la voce di Bjork e il clarinetto di Renault Pion in “Visur vatnsenda-rosu” o l’ipnotica “Song of the water” interpretata da Elisha Kilabuk. Ma ciò che colpisce ancor più è l’idea stessa del viaggio, resa già dallo stesso confezionamento del disco. Infatti, per ogni brano del cd è presente al suo interno una scheda mobile contenente, da un lato, la descrizione del pezzo e il nome degli interpreti, dall’altro lato, una bellissima fotografia delle terre richiamate dalla musica: frammenti di cielo, uccelli migratori, porzioni di mare, specchi d’acqua, sabbia, sassi e montagne. Un bel disco insomma, che potrebbe accompagnare viaggi reali e immaginari di questa calda estate.

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