Aaahhh...come canta Rivera...

Parafrasando una massima di Maurizio Mosca (i calciofili sanno a cosa mi riferisco) vorrei donare un pizzico di luce alla terza fatica dei mai troppo ricordati Helstar ossia ''A Distant Thunder'': eccellente sintesi di rabbia e tecnica accompagnata da un gusto per la melodia di caratura superiore. Già il precedente ''Renmants Of War'' aveva di fatto dimostrato le potenzialità che il combo texano avrebbe in seguito affinato restando però, suo malgrado, quasi completamente inosservato. Pertanto, trasferitisi in California per avere un bacino di utenza più ragguardevole, i nostri ebbero la felice intuizione di accogliere tra le loro braccia due nuovi elementi che contribuiranno notevolmente a plasmare il sound di questo platter e del successivo, incredibile, ''Nosferatu''. Sto parlando di Frank Ferreira alla batteria, autentico mostro di tecnica, trascinante sia nei passaggi intricati sia in quelli più massicci e di Andrè Corbin alla seconda ascia, perfetto alter-ego di Bannagan se non addirittura superiore stilisticamente. Come annunciato è però James Rivera il mattatore: la sua voce operistica ed il suo timbro impareggiabile e distintivo (ideale incontro a metà strada tra un Geoff Tate meno ruffiano ed un Rob Halford più sdolcinato) si adattano uniformemente alla proposta della band, vuoi che venga sprigionato metallo fumante ed intensità, vuoi che si lambisca lidi epici e sobri.

In ''A Distant Thunder'' le prelibatezze sembrano sprecarsi; non c'è una composizione che vada a fondo nella bufera eufonica che si viene a creare. Gli Helstar martellano sodo ma lo fanno impartendo lezioni con le proprie armi: tecnica al servizio della ferocia, melodia che si intreccia con sequenze ultrametalliche mentre eteree parti acustiche puntano dritte al cuore concedendoci un attimo di respiro. Citare una canzone invece di un'altra diventa puro gioco al massacro; vorrei sottolineare soltanto quella che per me è, ancora oggi, la canzone più rappresentativa dell'album e della carriera degli americani, la mitologica semi-ballad ''Winds Of War'' dove a partire da un tappeto flebile di piano (suonato dal bassista Jerry Abarca) viene costruito un muro sonoro devastante che si sviluppa in maniera miracolosa alla maniera dei Fates Warning più ispirati per poi cedere di nuovo il passo alle tastiere sognanti e dissolversi nel nulla. La sublimazione estatica dell'arte musicale.

C'è altro da aggiungere? Forse che la produzione è compatta ma sterile e non raggiunge il livello stratosferico dei pezzi? Oppure che la copertina potrebbe far credere di contenere un vecchio lavoro di Ornella Vanoni per ciò che rappresenta? O ancora che gli Helstar sono tuttora attivi e nel decennio appena concluso hanno confermato la loro classe con due album di alto rango e molto apprezzati? 

Attitudine ed eleganza. Non se ne sentono più così...

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