Partiamo dal fatto che ho ragione e che se la pensi in modo diverso sbagli. Io non ho tempo da perdere e tantomeno voglia di sentire le tue opinioni.
Se devo essere onesto con me stesso mi ritrovo un pochino in questa frase. Ci ho pensato e sono giunto alla conclusione che in fondo mi informo sempre sui soliti media sostanzialmente per rafforzare quella che è già una mia credenza. L’articolo o il libro che non si allinea al mio pensiero non lo apro proprio, non lo cerco neanche, e la cronologia della mia piastrella digitale, perennemente attaccata alla mano, di certo non mi aiuta in tal senso. Se ci ragiono su penso che questo stato di cose contribuisce ad aumentare la divergenza di opinioni e ci allontana dal confronto. Siamo un esercito di clan che la pensano allo stesso modo e che con gli "altri" non ci parliamo e se lo facciamo parliamo di niente. Questo stato di cose determina una diminuzione di critica costruttiva che dovrebbe essere la base per il confronto, per prendere in considerazione la possibilità di cambiare opinione, mettersi in discussione, trovare un accordo, comprendersi meglio e crescere.
Henry Kissinger non è che mi sia mai stato proprio simpatico. È stata una delle persone che con la fine e subdola arte della diplomazia e del pragmatismo ha influenzato il mondo post secondo conflitto mondiale e costruito l'ordine basato sul delicato equilibrio di potenze durante la guerra fredda. La tipica persona alla quale non era il caso di dargli le spalle e nemmeno di dargli troppa confidenza. Pur non avendo mai avuto un poster in camera sua ho comperato il suo ultimo libro proprio per dare un senso a quanto scritto nel cappello della recensione. È stata un’esperienza particolare e positiva e vi invito a farla leggendo un libro di un autore che NON è nelle vostre corde.
LEADERSHIP
Il libro tratta di sei statisti profondamente diversi con i quali Kissinger ha avuto a che fare durante la sua lunghissima carriera di diplomatico, consulente presidenziale, Segretario di Stato, consulente per la sicurezza nazionale statunitense.
La tesi è che il contesto nel quale un politico opera lo possiamo immaginare come un perimetro: il margine di manovra è giocoforza limitato. Un vero statista è quello che ha coscienza di tali confini e avendo una visione di lungo termine cercherà di modificarli. Il leader mediocre si lamenta del contesto guarda al presente, non sa distinguere le cose rilevanti da quelle ordinarie e si accoda a quello che fanno gli altri perdendo rilevanza strategica ed indipendenza. Kissinger snocciola le storie di sei statisti. Adenauer che praticò la strategia dell'umiltà per riabilitare la Germania post secondo dopo guerra. De Gaulle e Thatcher che con la volontà e determinazione riuscirono a risollevare le sorti di due paesi che versavano in totale crisi identitaria ed economica. La strategia dell'equilibrio di Nixon che aprì alla Cina per indebolire l'Unione Sovietica e risollevare l'economia USA falcidiata dall'inflazione. La strategia del superamento di Sadat che con pazienza riuscì a siglare un accordo con Israele e riprendere possesso del Sinai dopo la guerra del Kippur. La strategia dell'eccellenza di Lee Kuan Yuw che adottò per far sopravvivere Singapore tra i giganti asiatici.
CRITICHE
Il libro offre le sue parti più interessanti nella premessa iniziale e nella chiusa finale che è incredibilmente lucida per una persona che alla soglia dei cento anni non ha perso il contatto con la realtà e riesce a cavalcare le vorticose dinamiche della società moderna. Mi trovo d'accordo con tesi secondo la quale il contesto di partenza è ineludibile e la strategia di un leader per essere vincente deve prendere coscienza dei limiti di azione e della conoscenza storica degli avversari. Rimango tuttavia devastato dalla freddezza e dal metodo calcolatore e machiavellico con il quale l'autore spiega gli eventi e dimostra ammirazione nei confronti di alcuni leader che per raggiungere i propri obiettivi non hanno avuto il minimo scrupolo. Non mi è piaciuto che siano state taciute le azioni discutibili dei vari leader presi in analisi ed in questo modo il messaggio si è a mio modo di vedere semplificato ed un po' banalizzato mettendo in luce solo l'argenteria buttando sotto il tappeto il resto.
Mi riferisco in ordine sparso al Watergate, alle operazioni speciali in America Latina. Leggendo il capitolo su Singapore sembra si viva in un paradiso, non in una dittatura per quanto illuminata. De Gaulle forzò la mano in tutto e la ritirata tattica mise in ginocchio il paese. Le enormi tensioni e diseguaglianze sociali durante il periodo Tatcher, il regime di Sadat e l'indulgenza nei confronti dei criminali nazisti di Adenauer. Su queste cosette viene messo un pennarello nero sopra.
CHIUSA
Ottima la chiusa finale. Secondo Kissinger le scuole e le università occidentali offrono una formazione tecnica e si sono allontanate dalla loro missione di formare cittadini e potenziali statisti. A suo dire manca l'educazione umanistica che sviluppa più lentezza, profondità, contenimento degli impulsi, sviluppo pensiero critico e valutazione conseguenze a lungo termine. Tale concezione è sostituita con una formazione più fredda, veloce, quantitativa e scevra di metri di valore e comprensione altrui.
"Sebbene internet renda dati e notizie più accessibili che mai questa sovrabbondanza di informazioni non ci ha reso più consapevoli e più saggi. Dimenticare un singolo fatto non può avere alcuna importanza perché tanto si può recuperare in internet ma questo indebolisce le nostre capacità analitiche. Affinché l'informazione si trasformi in sapere va collocata in un contesto più ampio di storia ed esperienza. Non fa meraviglia che gli utenti siano classificati come follower e influencer. I leader non ci sono".
Mi ci specchio in questo virgolettato.
Io credo che leggere con calma e profondità un libro del genere sia stato tempo ben speso e mi ha regalato degli spunti interessanti.
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