Godzilla torna a casa.
Visto il successo che la Legendary ha ottenuto con il lucertolone nel 2014, alla Toho avran pensato (più o meno): “Hey, quel mostro è nostro, riproponiamolo!” Detto, fatto. E in grande stile, visto che la regia è affidata al signor Hideaki Anno con la collaborazione di tal Shinji Higuchi; costui, probabilmente ignoto ai più (me compreso, almeno fino a prima della visione..), è uno specialista di SF e di kaiju, nonché fondatore, con lo stesso Hanno, di quella che diventerà la Gainax. I due, con il loro team di produzione (tutta gente coi coglioni, a vedere il risultato), riscrivono la storia di Godzilla, del suo primo incontro con l’umanità.
Il film è un omaggio ai vecchi kaiju movies sotto molti livelli: l’estetica, il sonoro (gli effetti che accompagnano il mostro e le musiche sono quasi tutti mono e ripresi dalle vecchie pellicole), l’ambientazione urbana e la cazzoneria generale da fumetto (lo strampalato e grottesco piano per sconfiggere il mostro ne è un esempio lampante). Ma c’è anche molto di innovativo, a tratti di sorprendente.
Naturalmente c’è Fukushima, con lo tsunami, l’orrore della contaminazione; c’è il “panico” alla giapponese, raccontato in maniera efficacissima tramite TG, droni, servizi sul campo telecamere portatili e grandi, panoramiche satellitari. Il tutto però è vissuto non direttamente nelle strade dove si agita la creatura, ma dal punto di vista dei corridoi del potere. Il Governo giapponese è il bizzarro avversario del mostro e il contrato tra il lento e pupazzesco incedere di Godzilla e la frenetica e arzigogolata attività del gabinetto dà linfa vitale alla prima parte del film. Procedure burocratiche, soggezione totale alle regole e al prestigio dei ministri, irrisolte ombre del passato imperiale fanno da interessante sfondo alla lotta che il Giappone moderno compie contro l’ignoto. La ricostruzione della catena di comando è rimarchevole, ci si perde tra la marea di personaggi, ma se ne guadagna in realismo e spettacolarità quando l’orgia di ordini e contrordini sfocia in una pianificatissima quanto inefficace offensiva.
A differenza che nei trashoni hollywoodiani, qua non c’è il vero eroe, il salvatore, il messia o il new american man che salva il mondo. Ci sono personaggi di spicco, c’è il giovane sottosegretario allo stocazzo che capisce prima di altri il problema e che elabora il piano per sconfiggere la bestia, ma anche lui tutto sommato si inquadra in un’idea più complessa di organizzazione, di team work, di trovare le persone migliori e di pretendere da loro il meglio. Approccio forse per noi atipico in un monster movie che però dà una curiosa dimensione umana al film e ci regala un’interessante finestra su ciò che il Giappone era, è e vorrebbe essere. Il bello di Shin Godzilla è che scaga totalmente i sentimenti a buon mercato e mette il Giappone direttamente di fronte alla minaccia, che lo decapita letteralmente; queste lo rende un film di SF più vicino al dramma e al thriller di quanto si pensi.
Menzione particolare per gli effetti. Abituato alla CGI più o meno efficace di noi Western, lo spettatore medio potrebbe rimanere di primo acchito perplesso e inorridito di fronte al pur sontuoso mix di pupazzoni, animatronics e effetti digitali che danno vita a questo Godzilla “definitivo”. Però poi si impara ad apprezzare l’apparente gommosità del lucertolone, del suo ingessato e minaccioso incedere; si nota la cura per i particolari e per le luci, la prodigiosa vastità e bellezza delle miniature.
Finché Godzilla non si scatena: la scena madre giunge come climax inatteso di questo lento passo e ci mostra come miniature, pupazzi, e CGI si possano integrare magistralmente in un unicum che lascia interdetti per bellezza e terribilità, con Anno che pesca a piene mani nell’immaginario apocalittico con il quale ha cambiato animazione giapponese (e non solo) e con il commento sonoro che raggiunge notevoli picchi di drammaticità. L’aspetto stesso di Godzilla, selvaggio e totalmente inumano, dà nuova linfa vitale a quello che in Giappone è un vero e proprio mito culturale; in confronto il bestione della Legendary è un patetico cartone animato che si limita a schiacciare yankees e fare facciacce bbbrutte. Ricordiamoci che shin vuol dire “nuovo”, “vero” oppure “dio”, e ognuna di queste definizioni sembra stare stretta al nuovo lucertolone atomico della Toho.
Stiamo parlando di un film di mostri, con pupazzoni e fiammate, con risvolti pseudoscientifici spesso stucchevoli, farcito di inquadrature e personaggi telefonatissimi tipici dei manga. Ma il retrogusto è ben più soddisfacente e ricco di come si potrebbe immaginare. Una sorta di divertente e appassionato sguardo sul Giappone, un omaggio a un mostro che i poveri musi gialli possono solo arginare, ma che è ormai parte del loro passato, presente e futuro. Un po’ come la bomba, il nucleare, i terremoti, o l’Ammmerica (sì, c’è anche lei…).
E ricordatevi del regista Anno, che qualche problema di cervello lo deve avere. Sennò non concepirebbe quello che concepisce: come l’inquadratura finale di Shin Godzilla, davvero da alzata di sopracciglia accompagnata con “Ah!”.
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