Tutto ciò che ho perso lo posso ritrovare in te...

E' incredibile quanto in Giappone l'horror e lo splatter possano diventare un estro creativo, un modo per distaccarsi dalla normalità e associare le amenità alla perfezione e ai sentimenti più semplici e complessi. E' incredibile quanto in Giappone le saghe possano anche non avere punti di allaccio comuni, possano saltare da una parte all'altra dei generi, distruggere tutto ciò che è stato creato e creare un nuovo metodo di cinema che verrà poi distrutto da un nuovo genere.

"Guinea Pig" fu, è e sarà una delle serie più controverse dell'intero cinema, non solo giapponese. C'è chi la definisce un punto di rottura nella storia della settima arte e chi nega la sua essenza definendola una cafonata, un escremento. Il punto di non ritorno cominciò con quel debutto, il caposaldo e l'iniziatore del circolo di torture: "Devil's Experiment", fatto passare per un finto snuff, fu spacciato per veritiero e mise sottosopra l'intero sol levante. Ancora peggio con l'ormai snuff-cult "Flowers Of Flesh And Blood", dove Charlie Sheen, noto attore, temendo che le torture inflitte all'attrice fossero vere scomodò le autorità di mezzo mondo. Da qui in poi, dal caos, dalla perdizione e dalla perversione, la saga intraprese il cammino negli inferi divorando praticamente tutti i generi del cinema: la commedia (l'esilarante "He Never Dies" e l'orrendo "Devil Doctor Woman"), la fantascienza ("Android Of Notre Dame") e, chi l'avrebbe mai detto...anche il cinema sentimentale. 

"Mermaid In Manhole" è la celebrazione del matrimonio tra cinema romantico e splatter virulento. Due antipodi difficilmente associabili, che spesso se uniti finiscono nella ghigliottina del macabro (Nekromantik), riuscito, ovviamente, ma quando il macabro prende il sopravvento il romanticismo non ha più senso.

Hideshi Hino è riuscito a realizzare il perfetto connubio tra amore e morte...due antopodi che si rivelano essere paradossalmente complementare. In 62 minuti di durata è riuscito a realizzare un potente capolavoro in grado di dosare argutamente questi due elementi, realizzando una love story allucinata, dalle tinte forti, che ben si allontana dal grottesco di "He Never Dies" e dalla snuffolosità dei primi due capitoli. 

Una storia annegata da una follia che vede come protagonista un pittore che decide di ritrarre una sirena morente trovata nelle fogne. Il dipinto sarà realizzato con i fiumi di colori che sgorgano dalle ferite della malcapitata. 

L'arte che deriva dalle emozioni più forte, dal dolore viscerale, dalla passione evirata da un corpo ormai prossimo a marcire. 

Ecco che quindi i fiumi di sangue, difficilmente sopportabili vengono compesati da un'ottima dose di romanticismo mai effimiero, ma morboso, quasi poetico e suadente via struggente. Un delirio di raro pathos che termina con un seminale colpo di scena, semplicissimo quanto entusiasmante. 

Una vera e propria opera d'arte che non possiede nulla della violenza gratuita e che si nasconde dietro la splendida costruzione psicologica dei personaggi e che ama giocare con la qualità miscelando orrore con amore, bruttezza con bellezza.
Incredibile notare l'ambiguità del titolo: Manhole (Pozzo, ma anche paradossalmente buco del culo), parola che unisce sesso e squallore. Sporcizia e passione in un circolo di amore e morte, che avrebbe potuto chiudersi definitivamente con un cuore formato dal sangue delle memorie. Da recuperare.

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