Ebbene si. Sono passati dodici anni. Ma per me ne sono passati molti di più.

Gli Hoodoo Gurus, provenienti da Sidney, sono una delle band di punta di quella aussie wave che durante gli anni 80 ha mostrato al resto del mondo come si suona il Rock’n’Roll figlio dei sixties, ma anche del punk dei seventies. I primi tre irresistibili album, Stoneage Romeos (BigTime, 1984), Mars Needs Guitars (Bigtime, 1985) e Blow Your Cool (Bigtime, 1987), hanno consegnato i Gurus alla storia ed i lavori successivi, pur non raggiungendo le vette degli inizi, saranno sempre onesti e decorosi.

Gli Hoodoo Gurus suonano garage rock solare e cristallino, oscillando tra melodie orecchiabili e la veemenza del rock’n’roll più trascinante, tra rockabilly psicotico e pop, tra surf, beat e punk, tra chitarre scintillanti e distorsioni crampsiane. Attingono ai Beatles, ai Kinks, ai Flamin’ Groovies, ai Byrds ma anche ai Radio Birdman, agli X, al cinema anni ’50. Se avete bisogno di una iniezione di felicità in una giornata nera o dovete semplicemente affrontare un viaggio in auto, potete fare affidamento su di loro. Saranno la vostra migliore compagnia.

Sono passati dodici anni, si diceva. Dodici anni dal loro album precedente, Purity of Essence (Sony, 2010). Ma per me ne sono trascorsi molti di più. Per me gli Hoodoo Gurus si erano fermati al loro Magnum Cum Louder del 1989, perché gli album successivi, per quanto decorosi, non erano più riusciti ad innescarmi la miccia che dà fuoco alle polveri, la fiamma della passione che ti induce a tornare più e più volte all’ascolto. E così, con il passare degli anni, i Gurus contemporanei oggetto da parte mia di ascolti sempre più distratti erano progressivamente sbiaditi, rimanendo cristallizzati nelle armonie indimenticabili e nelle schitarrate esaltanti dei primi quattro album, che erano gli approdi sicuri a cui immancabilmente tornavo.

Chariot of the Gods (Big Time, 2022), finalmente, a trentatré anni da Magnum Cum Louder, mi ha nuovamente provocato la scintilla che ha fatto divampare l’incendio. Un incendio circoscritto beninteso e non fuori controllo come quello appiccato dai primi dischi, alimentato dal vento del Rocchenroll che soffiava impetuoso sulla legna secca dei miei circa diciotto anni, ma pur sempre un incendio!

Chariot of the Gods è stato composto e registrato in tempi di pandemia ed a detta del leader, Dave Faulkner, rappresenta un atto di resistenza. È un album, suonato con le chitarre e con il cuore, in cui Faulkner (voce e chitarra), Brad Sheperd (chitarra), Rick Grossman (basso) e Nick Rieth (batteria. Ex Radio Birdman, ex Celibate Rifles, ex New Christs, entrato nella line up dopo il recente abbandono di Mark Kingsmill) hanno ritrovato la vena compositiva e la verve di un tempo. Dave ha infatti dichiarato: “Gli ultimi due anni sono stati frustranti e snervanti per tutti, ma per gli Hoodoo Gurus questo periodo nero ha avuto un lato positivo. Costretti a fare affidamento su noi stessi, abbiamo sperimentato una rinascita creativa all’interno della band che ha portato a questo nuovo album”. E l’elevata caratura di questa nuova opera è dimostrata dal fatto che durante l’ascolto delle quattordici tracce è praticamente impossibile rimanere immobili. Una forza irresistibile ti costringe almeno a battere il tempo con il piede o con qualsiasi cosa ti trovi tra le mani (preferibilmente una matita o una penna per mimare le bacchette della batteria) oppure ad intonare i coretti delle loro splendide armonie vocali.

Il punk-pop tribale di “World of Pain” apre le danze ed a seguire troviamo, solo per citarne alcune, “Get Out Of Dodge”, la rocciosa “Answered Prayers”, la melodica “Was I Supposed To Care?”, la cavalcata western di “My Imaginary Friend”, l’incalzante garage-punk di “I Come From Your Future”, dominata dal wah-wah di uno Brad Sheperd incontenibile, e di “Don't Try to Save My Soul” puntellata dalla granitica sezione ritmica su cui si innesta il solito Sheperd con il riverbero saturato della chitarra slide. Menzione speciale merita la conclusiva “Got To Get You Out Of My Life”, in cui Dave Faulkner gioca ad imitare il Lou Reed di Transformer, confezionando una moderna e trascinante “Walk on the Wild Side”.

Insomma, un grande ritorno di queste leggende del Rock australiano. E se nel 1985 i Gurus cantavano a gran voce che “Marte ha bisogno di chitarre”, oggi possiamo affermare senza timore di essere smentiti che tra epidemie mondiali, venti di guerra e catastrofi naturali, è questo globo sul quale trasciniamo i nostri minuscoli passi ad avere bisogno più che mai delle chitarre degli Hoodoo Gurus. Grazie ragazzi per essere tornati!

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