Che il "Castello di Otranto" sia stato l'iniziatore di un nuovo genere letterario, già lo dicevano gli inglesi nel 1764, anno della sua pubblicazione. E tuttavia, sebbene acclamato come primo esemplare di romanzo gotico, l'autore ci dice, nella prefazione alla seconda edizione, che il suo modello erano le tragedie di Shakespeare. Questa affermazione ci da ragione della struttura prevalentemente dialogica dell'opera e della "regia" spiccatamente teatrale con la quale Walpole fa muovere i suoi attori sulla scena, in un susseguirsi di intrighi, fraintendimenti e imprevisti, fino allo scioglimento finale, che, come in ogni tragedia, ristabilisce l'ordine, precedentemente violato da un atto sacrilego o contro natura.

Un castello medievale, un convento, passaggi sotterranei, spettri, una morte misteriosa e uno strano elmo. La discendenza di Manfredi contro gli eredi del nobile Alfonso, l'amore di Matilda e quello di Isabella, la virtù di Ippolita e quella di Gerolamo. Non ci sono elementi di novità tali da affermare che Walpole abbia, di fatto, inventato un nuovo genere letterario. Potremmo dire che sfida la Ragione settecentesca, nel ritorno del represso, impersonato da Teodoro, nipote di Alfonso, la cui progenie era creduta estinta dopo il suo assassinio, che "ritorna" a destabilizzare le certezze di Manfredi, e certo l'ambientazione notturna e medievaleggiante potrebbe contribuire a creare quel "piacevole orrore" che Burke attribuiva a opere del genere, ma, a mio parere, niente che non si fosse già letto in altri luoghi. E del resto, gli elementi "sovrannaturali" presenti nel romanzo, sono giustificati dal volere Divino, dal "Cielo", costantemente invocato dai protagonisti, mentre invece il "gotico" è tale perché rimane ingiustificato, perché è dietro quello specchio scuro attraverso il quale non si riesce a guardare. Ma è anche vero che ci troviamo all'inizio di una tendenza che raggiungerà il suo culmine alla fine del secolo successivo e che, in ogni caso, Walpole ha fornito ambientazioni e temi non solo ai successivi romanzieri gotici, ma anche ad autori romantici o decadenti, come Byron o Wilde, e a chiunque, in quel lasso di tempo, si dilettò con storie di paura.

E ben rientra nel campo del "diletto" l'opera in questione. Immaginiamo Sir Walpole, eccentrico figlio di papà, impegnato in politica a difendere cause perse, appassionato di arredi e opere d'arte, che per uscire dalla noia decide di perdersi nelle sue fantasie, forse banali, forse già viste, ma che sottendono una profonda inquietudine interiore, che si fa evidente solo nell'ultima pagina del romanzo, ad opera di Teodoro, il quale, ben lungi dall'essere portavoce dei tradizionali valori eroici, ci introduce invece un nuovo stato d'animo, destinato ad essere il tratto caratteristico di molti eroi ed eroine della successiva storia letteraria: per i giovani Werther e i melanconici vampiri, i cavalieri delle dame senza pietà, e per un'intera generazione di poeti, l'inizio è senz'altro nella fine del Castello di Otranto:

"...il giovane si persuase di non poter conoscere altra felicità se non in compagnia di qualcuno con cui avrebbe potuto indulgere per sempre alla malinconia che si era impossessata della sua anima."

 

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