Serpenti che scottano. Non l’ultima puntata di wild, né un corso di cucina new age, né battute di basso livello da cabaret di quarto borgo. Esordirono, dopo le ceneri dei Drives Like Jehu, prendendosi il merito, ch’è ciò che conta, e quello che hanno preso.

Un disco feroce, spietato, sprezzante, insofferente nei propri confronti quanto in quelli dell’ascoltatore. Un disco cioè, insomma, incazzato, che sa di strada, cioè, di birra rancida, di albe passate a camminare su binari polverosi. Ci sarebbe da soffermarsi sulle chitarre, nevrosi cristalline sequenziate in distorsioni sporche e imprecise. La melodia, la vera serpe immancabile, striscia irriconoscente sotto ogni canzone, formandone l’ossatura scoliotica. Musica immorale, per gente che passa la vita ad inseguire il proprio moccolo. Reietti, voi che leggete, guai a voi se non ascoltate canzoni come “No Hands”, “Past Lives” o quello storpio capolavoro di “Light Up The Stars”.

Provincialismo e sudore, america anarchica e disillusione da adolescenti cannaioli. Sperma che irrancidisce sui vostri candidi epiteli, che rinvigorisce lo spirito. Né San Diego conoscerà di meglio, né la mia apatia, né la vostra, né quella di vostra nonna morta.

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