I territori inesplorati del mondo dei sogni hanno da sempre attirato il mio interesse: la possibilità che dietro le mirifiche visioni che a volte si schiudono durante il sonno più profondo possa celarsi una realtà ulteriore, che possiamo solo intuire ma non vivere ha costituito per me un'ipotesi suggestiva e irresistibile.

Naturale fu quindi per me sprofondare con piacere estremo in questo breve romanzo (o lungo racconto, a seconda di come vi piaccia considerarlo) di Lovecraft, una vera odissea del sogno, un viaggio assolutamente particolare non nelle profondità dell'inconscio, ma in un mondo parallelo, a tratti fiabesco, a tratti grottesco, a tratti di una bellezza delicata ed ineffabile, talvolta invece debole paravento di orrori sconfinati e teatro della volontà irrevocabile di dei imperscrutabili, siano essi le deboli, placide divinità della terra o i Signori del cosmo più remoto.

E proprio in questo alternarsi si snoda la vicenda, in cui Randolph Carter (in realtà vero e proprio alter ego dell'autore), alla ricerca della splendida Città del Tramonto, una visione "degna della febbre di un dio" avuta misteriosamente in sogno e poi inspiegabilmente scomparsa, scesi i settanta gradini del sonno profondo, attraversa tutte le Terre dei Sogni, ricalcate sul modello delle Dreamlands di Lord Dunsany, tra meravigliose città dalle guglie dorate, innominabili orrori nascosti in cripte sotterranee, viaggi marini e aerei, a cavallo degli spaventosi uccelli Shantak, sino alla meta, l'irraggiungibile monte Kadath, nel Deserto Gelato, al di là dell'Altopiano di Leng, e oltre, quasi fino al trono dello stesso Azathoth, il tutto a un ritmo serratissimo, dovuto però purtroppo non alle reali intenzioni dell'autore, ma al fatto che il romanzo rimase sempre allo stadio di bozza, tanto che Lovecraft, finché fu in vita, si rifiutò sempre di pubblicarlo.

In effetti la narrazione pare in alcuni punti fin troppo sbrigativa, quasi più nello stile degli appunti, e non è questo l'unico punto debole del romanzo: il Maestro di Providence mette infatti al fuoco tutta la carne disponibile, vale a dire che cercò di riordinare e razionalizzare l'intero universo onirico che da anni si agitava nella sua mente e che aveva trovato parziale sfogo in racconti come "Polaris", "Gli Altri Dei" o "La Nave Bianca", e per far ciò inserì una pletora di creature, città e situazioni che possono appesantire talvolta il racconto, soprattutto per chi non è un grande fan dello scrittore.

Ma per chi ama Lovecraft alla follia, quale migliore occasione di viaggiare assieme a lui nel suo personale universo onirico, qui descritto in maniera pressoché completa per la prima e unica volta? E' solo qui che il maniaco (come il sottoscritto) del solitario di Lovecraft potrà camminare al fianco di Randolph Carter tra le strade di Celephais, Ulthar, Inganok, Sarkomand, o percorrere gli infidi sentieri delle cripte di Zin e dell'Altopiano di Leng, incontrare creature come i Magri Notturni, gli Shantak, i Ghoul, i Gug, i Ghast, e ancora popoli cupi o pittoreschi, e infine lo stesso Nyarlathotep, sprofondando e correndo a briglia sciolta nella fantasia più libera del creatore dei Grandi Antichi.

"La Ricerca Onirica Dello Sconosciuto Kadath" (in Italiano suona molto peggio dell'originale, "The Dream-Quest Of Unknown Kadath") non è certo uno dei racconti migliori di Lovecraft dal punto di vista della resa, della scrittura, ma è senz'altro, ad ogni modo, un caposaldo della sua letteratura, e se avete già apprezzato gioielli come "La Rovina Di Sarnath", "I Gatti Di Ulthar" o "Gli Altri Dei", ai limiti tra il macabro e un'epica oscura e decadente (simile a certa narrativa di Clark Ashton Smith) e se siete stati conquistati dalle atmosfere soffuse di "Celephais", "La Nave Bianca" e "La Ricerca Di Iranon" non esitate a far vostro questo diamante grezzo, un romanzo rimasto fondamentalmente incompiuto per quanto riguarda la sua rifinitura, piuttosto una specie di atlante, se vogliamo, delle sue meravigliose Terre dei Sogni, ma pur sempre un prezioso diamante.

Carico i commenti... con calma