L’estraneo (1921) è uno dei racconti brevi più celebri di Howard Phillips Lovecraft.

Una decina scarsa di pagine. Poche costernanti parole, partorite dal formidabile estro dell’autore, in grado di plasmare un mondo dove l’orrido e il difforme si fondono in un unico profondo significato. Il racconto piace molto ai lettori, e piacque anche al momento della sua prima pubblicazione, a discapito d’altre opere di Lovecraft, in cui lo scrittore dovette confrontarsi col dissenso del pubblico. Con L’estraneo invece, avvenne esattamente l’opposto. A testimoniarlo è una lettera dello scrittore a J. Vernom Shea, datata diciannove giugno 1931, nella quale l’autore scredita la sua stessa opera, manifestando il suo ripudio per la tragicomicità del linguaggio (troppo pomposo, a suo dire). Tale dichiarazione, è la straordinaria prova dell’inconscio colpo di genio che colse lo scrittore al momento della stesura del testo! (Vediamo perché).

La vicenda ha come protagonista un misterioso individuo dai ricordi offuscati, che afferma di essere cresciuto in un antico castello. L’oscuro personaggio sembra non aver mai avuto contatti con altre persone, e vive circondato nell’oscurità della sua decrepita, pietrosa dimora, celando una crescente, estenuante ossessione: scorgere la luce del giorno, almeno una volta nella vita. Nel castello è presente una vecchia biblioteca, quindi il protagonista impara dai libri i comportamenti e il linguaggio umano, più il resto di tutto ciò che l’arte cartacea potrebbe insegnargli. Ecco perché il linguaggio sgraziato e poetico di questo racconto è più che mai opportuno. Ecco perché, tal elaborazione del testo, rende ancor più coinvolgente e poetica la narrazione, a prescindere dall’impietoso giudizio che l’autore riservò ad essa. Può darsi che Lovecraft odiasse L’estraneo a tal punto perché in esso è celato qualche cosa di autobiografico, in relazione col protagonista del racconto. Lo scrittore, infatti, ebbe un’infanzia traumatica, durante la quale dovette sopportare diversi esaurimenti nervosi per colpa del comportamento eccessivamente morboso della madre, che soffriva d’isteria e depressione. Lovecraft passò quindi buona parte della sua infanzia in casa a leggere e studiare. Solo e prigioniero fra quattro mura, proprio come l’oscuro personaggio che popola queste pagine.

Scontato dire che alla fine il protagonista tenterà la fuga dal castello, potendo così coronare un piccolo sogno: ammirare la luna per la prima volta nella sua vita. Il personaggio si ritroverà poi a scorazzare nella notte, finché adocchierà le mura di una rinomata dimora, dov’è in corso un ricevimento. Egli deciderà così d’infilarsi tentando il suo primo contatto col mondo civile. Il progetto fallirà poco dopo il suo ingresso in sala, a causa della comparsa di un oscuro essere che spaventerà i presenti facendoli fuggire.

Un castello, una festa, un mostro. Questi elementi richiamano molto da vicino La mascherata della morte rossa di Edgar Allan Poe. Lovecraft dichiarò, infatti, che per imbastire lo scenario gotico del suo racconto, fu per lui fondamentale ispirarsi al testamento cartaceo cedutogli dal defunto collega di penna. Le rispettive opere conservano però una difforme morale: “La mascherata” è un’immaginifica parabola sul destino e sull’impotenza umana dinanzi alle sue nefaste trame, L’estraneo invece denota il ripudio dell’uomo verso tutto ciò che è sgradevolmente diverso, manifestando al contempo un innato pessimismo verso il tentativo di un miglioramento esistenziale, vedendo perciò in esso un raccapricciante epilogo.

La succitata “negazione del successo” riguarda naturalmente il protagonista del racconto, il quale crede che la libertà acquisita dopo l’evasione dal castello possa portarlo ad una migliore condizione di vita. Ma quando finalmente avrà la possibilità di socializzare con altre persone, la sorte serberà per lui la più raccapricciante delle rivelazioni: rimarrà solo col mostro comparso in sala, avrà il coraggio di andargli incontro e di allungare le dita verso la ripugnante figura. Solo allora si renderà conto d’aver toccato uno specchio.

In questo passaggio è davvero importante saggiare la pioggia di sensazioni nefaste che Lovecraft riesce a trasmettere al lettore, rivelando la vera natura del protagonista, che non è proprio un essere umano, ma un disgustoso umanoide dalle intenzioni benigne, rifiutato dalla gente a causa del suo ripugnante aspetto. L’autore riesce perciò a schierare il lettore “dalla parte del mostro”, riesce a rattristarlo, ad impietosirlo, a convincerlo di come un tentativo di rivalsa possa concludersi nel peggiore dei modi.

Con L’estraneo Lovecraft conferma così il suo amore profondo e incondizionato per la figura dell’antieroe ossia, l’individuo sconfitto dalla società e da se stesso. Il racconto presenta dunque un protagonista deluso che fiaccamente anima una vicenda imbrattata dal più truce pessimismo. Tuttavia, la morale è sciaguratamente sincera: chi di noi non proverebbe repulsione o terrore dinanzi ad un mostro? Chi di noi non fuggirebbe sgomento dinanzi ad una tale manifestazione, troncando a priori le ipotetiche buone intenzioni di questa strana creatura? Questo prova che l’uomo è debole di fronte al difforme, non lo capisce, non riesce ad accettarlo; per questo sceglie il diniego, il ripudio che lo toglierà da una situazione spaventosa o imbarazzante.

Questa recensione ha spudoratamente rivelato la trama de L’estraneo. Scelta azzardata che farà perdere il gusto del colpo di scena finale a chi non avesse ancora letto il racconto. Non è però la scoperta, l’obiettivo che i novizi devono porsi; ma la riflessione. Un’attenta analisi sulla profondità e la poetica del testo, al fine di condividere/screditare quanto scritto qui sopra, nella speranza che le parole di Lovecraft possano macchiare di nero anche i vostri cuori.

Federico "Dragonstar" Passarella.

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