Ci sono libri che odorano di madeleine e altri che profumano di camelie. Romanzi alla violetta e racconti allo zenzero. Molti romanzi hanno un loro odore peculiare, che si aggiunge a quello della carta stessa e dell'inchiostro. "L'ombra su Innsmouth" è l'unico racconto al mondo che sa di pesce andato a male. Non che quello psicolabile misantropo e un po' razzista di Howard P. sia nuovo a questi scherzi: la sua raccolta di poesie "Fungi from Yoggoth" pareva un piatto di porcini trifolati, ad annusarlo. Ma il pesce marcio no, Howie, dai, che ti abbiamo fatto per meritarcelo? Olfatto a parte, Lovecraft qui è al meglio delle sue capacità narrative e per una volta non esagera più di tanto con il consueto mantra a base di "blasfemo", "esecrando", "innominabile".

La trama è piuttosto semplice: un giovine turista di belle speranze in cerca di paesi pittoreschi finisce nel New England e scopre che c'è una cittadina assai antica sulla costa non segnata sulle mappe. Appena saputo che i pochi turisti di passaggio, chissà perchè, tendono a non ritornare, il Nostro naturalmente si precipita a visitare questa putrida versione di Rosignano Solvay. Come Rosignano, anche Innsmouth è stata costruita grazie alle attività di un ricco mecenate (qui Obed Marsh, lì Mr.Solvay), il quale ha poi trafficato con curiose creature pisciformi onde riceverne oro e immortalità in cambio di periodici sacrifici umani e di una promessa da niente: far accoppiare i cittadini con questa sorta di saraghi troppo cresciuti. La comunità dimostra immediato entusiasmo per l'ardito progetto del mecenate (vi ricorda nessuno?...) dopo aver scoperto dalle televisioni locali che copulare con il Mostro della Laguna Nera offre il dono dell'immortalità, più posti di lavoro per tutti e le branchie. E che diamine, anch'io per avere le branchie copulerei con uno sgombro. Chi non lo farebbe?

Ma procediamo con ordine. Il demente arriva nel paesello, dove gli abitanti gli fanno capire, con tipica ospitalità ittica, di non essere gradito. Costretto a una fuga precipitosa dal terribile albergo dove ha intelligentemente accettato di pernottare, circondato da un'intera pescheria ambulante, il nostro eroe riesce fortunosamente a salvarsi. Peccato che poco tempo dopo, con un colpo di scena degno di Liala, scopra evidenti tracce ittiche nel proprio albero genealogico. L'opera si conclude con l'orrida apparizione delle branchie sul collo del protagonista e con la sua stoica decisione di farsi cucinare all'isolana dai vicini di casa ingolositi. Vale la pena segnalare che "L'ombra su Innsmouth" appartiene al ciclo di racconti dedicato dal Solitario di Providence ai Grandi Antichi, divinità innominabili (ops, l'ho detto...) e crudelissime. Gente di poche parole e molti tentacoli, con nomi originali e facili da ricordare che mi sento di consigliare alle neomamme per battezzare i propri pargoli: Chtulhu, Yog-Sothoth, Shub Niggurath, Nyarlathotep. Tra le varie entità di questo orrido pantheon c'è spazio anche per un autentico dio sumero: Dagon, ributtante incrocio tra un uomo e una cernia. Gli abitanti di Innsmouth sembrano esserne i nipotini e lo pregano all'interno di un apposito tempio. Manco a dirlo, anche i sacerdoti di tale accogliente luogo di culto sono roba che a Livorno finirebbe dritta nel cacciucco.

Ok, può bastare. Scusate, volevo fare una recensione seria, cupa, viscida, piena di parole altisonanti in grado di evocare le ombre di obbrobriose divinità ctonie. Purtroppo, non è giornata. Continuano a venirmi in mente i Monthy Phyton e la Guida Galattica dell'Autostoppista. Vi prego di perdonarmi. Ma soprattutto scusami tu, Howard: non volevo ripagarti in questo modo dopo tutte le ore che ho passato in compagnia dei tuoi splendidi incubi... ma ormai è andata così. Addio, e grazie per tutto il pesce.

PS: "L'ombra su Innsmouth" è in vendita presso le migliori pescherie del New England.

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