Forse parlare di “Next big thing” made in Italy è esagerato, ma di sicuro ancora una volta ci troviamo di fronte a una band che ha poco da invidiare a colleghi stranieri ben più noti.

I modenesi Human Improvement Process sono la classica realtà che alle parole preferisce i fatti, che passa ore in sala prove e che è fottutamente aggiornata in fatto di metal. E’ quindi con estremo piacere che mi trovo a parlare di “Deafening Dissonant Millennium” un debut album coi fiocchi che spazza via senza pietà il suo predecessore autoprodotto. Non stiamo parlando di un disco easy listening, ma bensì di qualcosa che al suo interno incorpora svariati elementi e scuole di pensiero assai distanti tra loro. Pur parlando di metal e avendo a che fare con personalità lontane dall’essere definite “lord”, le prime cose che colpiscono all’ascolto sono l’egregia tecnica strumentale dei musicisti e i suoni cristallini, elementi questi utili ad alzare l’indice di gradimento di chi – come il sottoscritto – cerca strutture sonore complesse e godibilissime all’ascolto.

“Deafening Dissonant Millennium” è un mix bastardo tra scuola metal nordica (dove rigore tecnico e cura dei particolari sono all’ordine del giorno) e quella statunitense (dove foga distruttrice e velocità sono motivo d’orgoglio), un disco che potremmo annoverare tra le produzioni death metal ma che fondamentalmente non lo è nemmeno, o meglio, lo è in parte. Basta infatti osservare l’artwork (strepitoso!) per rendersi conto di quanto corrano veloci questi ragazzi, con la testa e coi fatti. Ogni canzone contenuta in questo disco è qualcosa di estremamente veloce e brutale, dove persino le parti più melodiche riescono in qualche modo a colpire per come sono state strutturate. Il gioco di squadra nel caso di questa band è stato fondamentale: decisamente ispirate le chitarre - che sfornano riff da mal di testa in quantità industriale – seguite a ruota dalla sezione ritmica pronta a dar manforte con un muro sonoro a prova di bombe. A voler fare proprio i pignoli qualche variazione in più sull’aspetto vocale non avrebbe guastato (tutta questa foga distruttiva alla fine stordisce), con un cantante versatile e sempre pronto a sputare tutta la sua rabbia nel microfono. Non è certo un piccolo neo a guastare la festa messa in piedi dagli Human Improvement Process, un party ad alto tasso alcolico e reso ancor più appetibile da una colonna sonora degna di nota. Da avere.

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