Un'amica ci scrive in redazione che Brutalism le ha schiacciato lo sterno a terra e le ha cagato in faccia mentre gliela leccava. Noi che siamo un po' osceni diciamo beh, proviamo.
Quando poi Brutalism finisce e possiamo riprendere respiro, possiamo contrarre il diaframma, finalmente gridiamo

P O S E R

Intanto perché ci siamo ascoltati l'EP del 2012, e ci sembra sospetto che un medio gruppo simil-Foals, wannabe-National, scialbo tipo i peggiori Doves, sia stato nella nicchia di Bristol per cinque anni e poi abbia buttato fuori un disco molotov come Brutalism.
Va bene che l'EP del '15 era bello tirato, ma resta un dubbio: tutta questa rabbia proletaria da labour party, tutta quest'attitudine punk, è una cosa che può venire col tempo? Se a trentacinque anni sei rimasto in bolletta e mo' hai capito che merda è il welfare state, e quante contraddizioni, e i tuoi amici e parenti hanno iniziato a morire, non è che sei diventato punk.
Se poi al Pohoda Festival ti presenti in costume da bagno e suoni la chitarra in tutte le pose plastiche possibili; se barcolli in lattina di birra e vestaglia e te la prendi coi cavi (mentre pure quel borghesotto di Morrissey a sessant'anni coi cavi ci fa i giochi), e fai la cosa che imiti Liam Gallagher con le mani dietro la schiena, ma il microfono all'altezza del bacino, un po' ci stai dando ragione di pensare.
Poi Talbot, il cantante, dice che non gli piace che li si definisca post-punk. Eppure conveniamo che come disco dei Motorhead, questo, non sarebbe stato accolto mica bene dai fan né da nessuno.

[Qualcuno mi dice che pare il gruppo del babbo di Lollipop di This Is England, dell'attore. Riporto.]

È uscito un disco dei Fall anche quest'anno, ma ormai MES non si capisce quasi più. E quando leggi i testi, non si capisce cosa intende. Questo è un peccato, perché MES è uno che ha il diritto di porsi in un certo modo. Ché MES è riuscito sempre, e pure nel pop, senza provare mai: provare nel senso di provare duro, nel senso di try hard, nel senso di poserare.
Adesso che il pulpito di MES è una sedia a rotelle nel grigio industriale di Manchester, e la sua posa è statica quanto la sua mascella, mi vengono in mente alcune indicazioni per tutti gli Idles, gli Sleaford Mods e tutti gli angry, più o meno young, men a venire, per non indurci in dubbio mai più:

-Fate un paio di dischi come questo all'anno. Cos'è questa storia che ci avete messo cinque anni a fare un disco.
-Non suonate al Primavera Sound.
-Suonate invece a Glastonbury e pisciatevi addosso sul palco.
-Andate avanti come se niente fosse.
-Uscite dalla zona sicura. Se la poetica è forte come sembra, potete fare un disco solo armonica e voce, e viene uguale. I Run The Jewels hanno rifatto il secondo disco usando solo suoni di gatto campionati: è uno scherzo ma è pure bello.
-Fatevi la barba.
-Fate più date, in posti più piccoli.

Dico, perché poi i nomi tipo i Fall vengono sempre fuori, sui siti autorevoli, quando si parla di questi dischi. Ma uno deve anche meritarseli certi riferimenti.
Sulla facciata di un palazzo qui in città si legge: PER FARE UNA COSA CHE PIACE IMITA UNA COSA CHE PIACE.
E se stessimo parlando solo di suono, tutti i dischi prodotti in un certo modo sarebbero belli.

Nel '17 esiste ogni cosa, quindi esistono anche i poser di ogni cosa. Perciò facciamo che non ci interessa la storia dell'autenticità e della posa.
È vero che questo disco spinge.
I cardini sono i soliti: tira il rullo, fai i power chord alti col chorus e alterna al tremolo picking, prendi a schiaffi un Precision, abbonda di gain sull'Ampeg, dinamiche punk hardcore nei pezzi veloci, cadenzati new wave col tom nei lenti. È uno sport, ma le regole sono semplicissime e quelli che decidono di partecipare vincono sempre.
Gli Idles in particolare ricordano tanto i McLusky più farbrutto, di conseguenza i Future Of The Left, e tanto per merito della prestazione commovente di Joe Talbot, che intona raramente e ha una sua musicalità tutta accenti, pause e tirate lunghe e brevi, sbraitare e provare a sbraitare quando si ha il fiatone, ululati, boli catarrosi. Alterna il ringhio al beffardo al declamato solenne come un John Lydon in fase. To rant è farsi trascinare con rabbia da un discorso e trascinarlo oltre il suo spontaneo decorso: rantolare.
Non si applica a Slow Savage, che è una ballata, lasciata ultima per non rischiare: codardi, ma hanno fatto bene.

La madre di Talbot è morta, e la scrittura ne ha risentito. Quando Talbot in Mother dice che il miglior modo di spaventare un conservatore è leggere e diventare ricco, non ne sta facendo un manifesto. Sua mamma lavorava troppo e lui preferisce guardare la televisione. Alla BBC vede questa gente tipo i food blogger come Mary Berry che hanno laurea, lavoro, soldi; qualcuno gli chiede, in Well Done, perché non si dia da fare anche lui: «I'd rather cut my nose off, to spite my face».
Well Done, nonostante i suoni compressi da gruppo alternative, è anche il più bel garage punk che mi sia capitato di sentire quest'anno.
Date Night segue la linea del disprezzo anti-piccoloborghese, aggiunge errori grammaticali buttati in faccia come ritornello. Spregio del lavoro ancora, poi 1049 Gotho che è un asteroide in orbita intorno al Sole mentre la gente sulla Terra è così depressa ma questa cosa l'aveva già fatta più o meno Von Trier. Divide & Conquer che è una marcia oscura sul morire per essere troppo poveri e non potersi permettere le cure. Stendhal Syndrome - che è quella che ti resta più di tutte, e anche la più veloce - e non si capisce se il narratore ne sia affetto nonostante la sua razionalità ignorante gli faccia disprezzare l'arte, o se piuttosto stia sbeffeggiando un approccio ignorante all'arte, o ancora se stia usando un approccio ignorante all'arte per sbeffeggiare qualcuno affetto da sindrome di Stendhal: comunque hot air, altri errori grammaticali.

In White Privilege, Talbot riesce a dire: «quanti ottimisti ci vogliono per cambiare una lampadina? Nessuno: è il domestico che cambia la lampadina. Sempre povero, mai annoiato»; e «sempre povero, mai annoiato» è il ritornello.

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