Non pensavo che ci fosse un nuovo album in imminente uscita, non pensavo che “Natural” fosse un assaggio di nuovo album (pensavo più ad un semplice outtake di “Evolve” o a qualche soundtrack per qualche imminente film o serie TV), non capita quasi mai che una band conclude il tour dell’ultimo album suonandolo quasi per intero e poi pubblica subito il nuovo album (di solito segue un periodo di pausa e poi vi è il rientro in studio), non avevo minimamente considerato l’ipotesi di un album in arrivo, l’ho saputo solo grazie ad un controllo a sorpresa su Wikipedia. Eppure “Origins” è uscito solo due mesi dopo quel concerto-odissea sotto la pioggia a Rho.

Non facciamoci illusioni, non aspettiamoci nulla di eclatante da questo quarto lavoro. In precedenza abbiamo criticato gli Imagine Dragons per il sound spesso troppo piatto, per una produzione che non mette in risalto le idee e per l’approccio che guarda con troppa insistenza alle classifiche; questi difetti rimangono e probabilmente sono destinati a rimanere, ci conviene prendere la band per quello che è e godere senza farsi troppe seghe mentali delle idee che comunque ci sono eccome. Si continua a viaggiare su territori spesso tendenti ad un elettropop modaiolo ma c’è sempre quel qualcosa che rende gli Imagine Dragons perlomeno decenti in mezzo a tanta merda, la proposta si mantiene sempre piuttosto varia, con un buon mix di generi ed influenze, le tracce appaiono ciascuna piuttosto diversa dall’altra e l’album di fatto sa anche sorprendere e non annoia affatto, anche aiutato dalla sua breve durata (solo 40 minuti).

Fra le tracce meritevoli di menzione possiamo indicare il simpatico hard rock elettronico di “Machine”, il folk estivo e frizzante di “West Coast”, il drum’n’bass aggressivo e dagli accenti dubstep di “Digital”, le suggestioni quasi new wave anni ’80 di “Only”, l’incedere lento di “Stuck” con suoni e vocalizzi che per poco non strizzano l’occhio ai Sigur Rós. “Zero” invece sembra una “Close to Me” dei Cure modernizzata. I due brani che meglio esaltano la melodia risultano essere tuttavia “Cool Out” e “Bad Liar”, modaioli e leggerini fino all’osso ma dotati di ritornelli di grande impatto. Buona ricerca di suoni in “Boomerang”, certo che se la produzione li mettesse in risalto il risultato sarebbe migliore (e questo vale un po’ per tutta la produzione della band). “Natural” invece sembra un tentativo di fare rumore, è un brano spaccaradio, dove voce e percussioni tendono a coprire eccessivamente il semplice fraseggio acustico su cui è costruito, si sente proprio che è un brano prodotto appositamente per l’airplay radiofonico, ma non va oltre. Tuttavia i due brani che lasciano poco e che non decollano sono “Bullet in a Gun” e “Love”, basati su una sorta di trip-hop un tantino spento e abbastanza elementare.

Diciamo che nel complesso può andar bene così, anche perché abbiamo riposto definitivamente nella cassaforte la speranza di un salto di qualità, l’abbiamo ascoltato senza aspettarci nulla; alla fine è l’ennesimo buon disco, che si prende la sufficienza piena, salvandosi e in un certo senso anche distinguendosi in un panorama pop decisamente obbrobrioso, senza tuttavia decollare. Gli Imagine Dragons continuano ad essere i Tears For Fears dei poveri e finché otterranno successo a loro andrà sempre bene così. Ma questa situazione a loro favorevole senza che vi sarà una vera maturità artistica… quanto potrà durare ancora?

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