Secondo capitolo per questa intrigante band americana il cui genere viene universalmente definito METAL-CORE, e ancora non ho capito se quel CORE va interpretato nel senso anglosassone o romanesco del termine. Certo è che, rispetto al primo album ('Beautiful Tragedy') in "The Dream" la band si è data una calmata e ha virato verso lidi molto più melodici.  Eccoli lì, dirà qualcuno di voi, hanno avuto un po' di successo e si sono subito ammosciati e commercializzati. Forse. E io di mio dirò che invece è un peccato sacrificare una splendida voce come quella di Maria Brink al ruolo di urlatrice pura. E quindi ben venga questa nuova fase.

Non si può parlare di In this Moment e non pontificare innanzitutto su Maria Brink, la vocalist e leader che incarna la delizia di qualunque esteta gothic: una incantevole biondina, viso sospeso a metà tra il celestiale e il malizioso, curve da attacco cardiaco, un braccio interamente tatuato (non voglio sapere cosa ci abbia tatuato) e, soprattutto, una voce divina, che a volte ti rutta la rabbia dei secoli, a volte ti delizia con performance più raffinate.
La Brink ha carisma e non è soltanto una delle tante gnocchette che si dimenano sui palchi con le loro gothic metal core *.* band. Gnocca lo è, parecchio, tanto che Playboy si è accorto di lei chiedendole un servizio. Pare che lei abbia detto sì, ma non ignuda.
E, per questo suo rifiuto, mi sembra razionale e obiettivo levare almeno un voto all'album.

L'album in sè è decisamente orecchiabile, si ascolta con piacere e ci sono buone tracce, dalla breve intro strumentale "The Rabbit Hole" (a proposito di conigliette...), passando per "Forever", "All For You", "Lost at Sea". Una bella fucilata è "Mechanical Love", dove si pesta leggermente più rispetto ad altre tracce.

A proposito di pestare, un aspetto che NON mi piace dell'album è la batteria eccessivamente campionata e quindi un po' finta: ma cari ragazzi del *.metal.*, ma perchè non vi piacciono più il rullante che suona come un rullante, la cassa che suona come una cassa, con quei rimbombi un po' cupi ma very very rock, i tom che sappiano ciascuno del suo tono e non tutti uguali, di modo che una rullata sembri una rullata e non una catasta di lattine che crolla a terra??

A parte ciò, tutto bene: il disco fila che è un piacere e chiude con "Violet Skies" e "The Dream", la titletrack che torna allo stile di esordio della band.

Discorso a parte merita quel capolavoro di dolore che è "Into the Light", un gioiello di quelli che ti ammazzano dentro ogni volta che lo senti, e in cui la voce della Brink dà il massimo come interpretazione e come pathos. E' una canzone, per voce e piano/tastiere, chiaramente ispirata dalla sofferenza di una perdita, quella sofferenza che è in sostanza la massima fonte di ispirazione per quella musica che va a scatenare una tempesta di emozioni e a cui è difficile restare indifferenti. E' evidentemente un'ispirazione "superiore" quella che permette di dare alla luce certe composizioni: la sensazione che dà è simile a quella che può dare "One Last Goodbye" degli Anathema, che forse è l'incarnazione massima di questo tipo di canzoni 'superiormente ispirate'.

Detto ciò, il disco è sicuramente piacevole, da 3,5 più che 4, ma siccome sono giovani e di belle speranze vogliamo premiarli. La band musicalmente supporta bene la voce ora graffiante ora rabbiosa ora dolce della Brink. Attendiamo il nuovo capitolo, previsto per il luglio 2010. Se qualcuno ha trovato le foto di Playboy, metta cortesemente l'indirizzo.

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