Bello il 1992.

Soprattutto quell'estate. Mi ricordo a sfrecciare (si fa per dire) con Ugo (il mio Ciao) lungo polverose strade di campagna. Ugo era probabilmente l'unico motorino non "truccato" della zona tanto che una volta, in un gruppo d'amici "fermati" dai carabinieri, fui l'unico non "invitato" a seguirli in caserma: alle mie rimostranze ("posso venire anch'io?") i militari contrapposero un fiero "ci stai prendendo in giro?" il che io dissi "no, è che resterei da solo e preferisco stare in compagnia". Eh sì, bello il 1992: l'estate dei miei diciotto anni, della Danimarca campione d'Europa alla faccia di tutto e tutti, del cielo "che non è mai brutto", del non scendere a compromessi nemmeno quando ti senti fuori posto anche in mezzo al niente, di lei "eterea und qvasi celestiale" e di quando mi lasciò da solo, delle speculazioni trovate sul fondo delle bottiglie di Adelscott...

"I struggled daily with the voice of the devil lurking in my bones" (Amy Ray)

Sì... Insomma un periodo di riti di passaggio affrontati canticchiando "Tear in your Hand" della Rossa, "Childhood's End" dei cazzari d'Albione, "Midlife Crisis" di quelli californiani e "Galileo" delle instacabili attiviste di Atlanta (anche "Symphony of Destruction", of course, ma non per canticchiare). 

Il folk-rock delle Indigo Girls è quanto di più semplice si possa pensare: quattro accordi di base, una discreta tecnica alle sei corde, due belle voci del sud degli States e testi intrisi di "adolescenzitudine" (che è poi quella voglia, misto terrore, che ogni adolescente trova nel cercare di essere un po' diverso e un po' omologato in una tribù). "Rites of Passage" non è di certo un album imprescindibile nella storia della musica Pop-Rock ma è una buona testimonianza di un periodo in cui "innocenza"e "semplicità" non erano ancora parole abusate da certi furboni e, nel tempo, ha visto crescere un "piccolo" culto tra chi ha capito che il cielo potrà anche non essere mai brutto ma qualche volta proprio bello non è.

Mo.

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