Forse qualche anima pia si sarà domandata il perché della mia prolungata assenza, ossia del dolce periodo in cui non vi ho ammorbato con le mie cazzate. Ebbene, non pensiate che la causa sia stata la mancanza di materiale o un ipotetico "rookie wall" sullo stampo di quello NBA: nulla di tutto ciò. Semplicemente (ma neanche tanto), ho subito una di quelle fantomatiche illuminazioni sulla via di Damasco, che ha scosso le mie fondamenta più profonde: ho cambiato facoltà, ho deciso che una mente aperta è meglio di un buco in testa, mi sono dovuto fare un mazzo a tarallo. Insomma, avevo bisogno di consolazione, e ne sono andato in cerca. Ho provato a condurre una vita da bohemien, ma ho lasciato perdere in seguito ai troppi colloqui col cesso a bocca... molto aperta. Ho cercato la liberazione in un bordello, alla Schopenhauer, ma mi sono solo ritrovato col portafogli e il pistolo alleggeriti. Non ne uscivo. Fortunatamente, la musica è la panacea per ogni male, così ho continuato ad aguzzare il mio udito sconsolato. Mi sono rivolto al Depressive Black Metal, e in effetti ancora poco e non avrei più sofferto: ero già pronto con la corda e lo sgabello. Allora, ho mandato in malora tutto e tutti e sono tornato al caro, vecchio Black tradizionale, perdendomi dietro le sue note. Ed è qui che mi sono imbattuto nell'ultima opera degli Inquisition: "Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm" (2010).

Dunque, che dire? Anzitutto, mi sono decisamente rallegrato nell'apprendere che dalla Colombia proviene anche qualche artista serio, a differenza di una certa "wacca wacca". Gli Inquisition, infatti, propongono un metal estremo più che valido da 23 anni a questa parte, e con questo ultimo lavoro raggiungono quello che molto probabilmente è il loro apice.

Si parte con "Astral Path To Supreme Majestatis", che trascina da subito l'ascoltatore in un nero vortice col suo inizio maciullante: proprio come piace a noi metallari incalliti. La prima traccia delinea le coordinate dell'intero album: riff oscuri e stordenti, che per noi blackster sono il biscotto quotidiano (altro che Oro Saiwa) e la batteria di Incubus che alterna con maestria i suoi classici blast beats a tratti più distesi, il tutto condito da una produzione sensibilmente migliore rispetto a "Nefarious Dismal Orations". Non manca neanche, per la gioia di tutti, la cara e intramontabile invocazione rivolta a Satana, all'inizio di "Command Of The Dark Crown".

Un discorso a parte va fatto per le vocals di Dagon: c'è poco da fare, il suo scream aspro, gracchiante e gelante (che tanto ricorda quello di Abbath, leader degli Immortal) o si ama o si odia; o lo si paragona a una rana toro che emette gargarismi a tutto spiano, oppure a un accolito oscuro che sussurra. Io propendo per la seconda opzione.

"Ominous Doctrines" è un'opera affascinante e impregnata di misticismo; una sorta di iter iniziatico che, tramite l'ottundimento dei sensi e della ragione attraverso dieci tracce astrali e filosofiche, porta il neofita al contatto con l'esperienza onirica più malvagia che ci sia. Dopo qualche minuto, non ero più in camera mia: erravo per un desolato campo innevato, mentre le stelle andavano spegnendosi e la neve scricchiolava sinistra sotto le mie suole. Un disco, insomma, in cui il binomio "Violenza - Sogno" è di fatto inscindibile, e che dimostra come gli Inquisition siano come il vino: più invecchiano, più ci deliziano. E come possano ancora fare il culo a tanti pischelli imbranati che strepitano, strepitano, ma non hanno niente da dire. E io ve lo consiglio caldamente: è stata un'indigestione di questo disco a tirarmi su e a darmi la forza di andare avanti.

Ora non devo far altro che trovare un rimedio all'insonnia e sono a posto.  

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