Forse non tutti sapranno che nella decade di inizio secolo i Bush di Gavin Rossdale non esistevano più. Dopo quattro album e prima della reunion del 2011 il loro leader creò questo estemporaneo gruppo grazie al contributo di ex componenti di band come Helmet, A Perfect Circle e Rival Schools, ma soprattutto fu coadiuvato dalla figura ingombrante di Page Hamilton, leader degli stessi Helmet, la cui presenza risulta evidente come produttore dell'album. I suoni compatti e compressi delle chitarre sono quelli tipici della sua storica band, dando al disco una patina di modernità muscolare che da una parte rende le canzoni potenti come mai prima era capitato ai Bush, ma che dall'altro li rende alle volte quasi indistinguibili nella loro piacevole medietà.
Riescono ad emergere dalla griglia di partenza molte tracce del primo lato, ovvero quando la produzione trova il giusto compromesso con l'efficacia delle linee melodiche (vedi la opener "Bullet Proof Skin" e "Wasteland", non a caso i due singoli dell'album). Quando questo non riesce (vedi tutta la seconda parte) iniziano ad apparire in sequenza brani con una potenzialità di riuscita emotiva affogata dalla parte tecnica, ineccepibile formalmente ma fredda e tendente al monotono. Per chi scrive era preferibile l'imperfetta spavalderia grunge dei Bush degli esordi e addirittura la cerebrale cupezza di lavori come "Razorblade Suitecase", da molti stroncato al tempo. La quasi assenza di ballad depressive (forse la sola "Ambulances"?) può essere un pregio per chi non ne voleva più sapere, ma un difetto per chi era stato conquistato da "Glycerine", "Cold Contagious" o "Mouth". Insomma tirando le somme un album che non fa gridare al capolavoro, ma che si fa ascoltare e dove i fan dei Bush troveranno in parte quello a cui erano abituati.
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