Esplosi nello stesso periodo in cui fecero il salto della quaglia anche i loro concittadini Strokes, gli Interpol ancora oggi pagano dazio a se stessi e al mondo per aver inciso “Turn On The Bright Lights”.Oggi a quattro anni di distanza dal s/t e ben dieci da “Antics” provano di nuovo a scalare quella montagna ingombrante, che si staglia minacciosa e fa tremare le gambe alla sola vista. Montagna che anche gruppi validi come The National o Editors possono solo ammirare.
Il mio primo fugace contatto con gli Interpol risale a due/tre anni fa circa, prima del ritorno e della cotta che arrivò un anno or sono a causa di quel disco con quel palco rosso fuoco vuoto che si ergeva sullo sfondo.
La bella notizia e si percepisce fin dai primissimi ascolti e che nonostante la dipartita del bassista Carlos Dengler, la ditta newyorchese stia ancora saldamente in piedi.
E’ senza dubbio un disco che guarda agli albori cercando di recuperare quanto fatto di buono nei primi anni.Aprono le note soffuse di “All The Rage Back Home” e subito le lancette scorrono indietro alla celebre “Untitled”: il palco si illumina di luci colorate, la band entra in scena, saluta il pubblico accorso numeroso e dopo circa un minuto entrano in scena le chitarre che sprigionano verso l’etere un’energia speranzosa nonostante timide folate di vento facciano ingresso sul finale.
“All The Rage Back Home” è la dimostrazione che gli Interpol stanno ancora in piedi sulla tavola da surf cavalcando un onda, poco importa se sia una cresta, ma sanno ancora trasmettere sincere emozioni con un linguaggio ormai collaudato.
Le immagini evocate dalla loro musica sono le più varie ma tutte legate da un sottile file rouge: una sensazione piacevole di calore che ci circonda e come uno strato invisibile ci protegge e tiene al calduccio il nostro corpo dalle intemperie metereologiche e mentali che ci stringono a tenaglia.
E’ un percorso mentale, ma anche fisico a piedi tra le vie notturne e piene di luci tra una metropoli, una grande città, piena di opportunità, ma anche piena di insidie Una metropoli jazzy, vintage ed elegante “Same Town, New Story”. Il pezzo non sarà una nuova “NYC” ma in questo disco ogni pezzo ha qualcosa da comunicare tenendosi alla larga dalla banalità.
Il pittore Banks usa gli acquarelli e dipinge sulla sua tela e tra gli schizzi si intravede una metropoli invernale imponente, vista contemporaneamente dall’alto e da dentro, dove i venti gelidi sono sempre pronti a soffiare e scavare a fondo nell’animo umano (“My Desire”) richiedendo una grande forza d’animo per non essere risucchiati nel vortice nero.
E’ una lotta tra il nero e il rosso, tra il calore materno, le sensazioni positive come la speranza e la foschia grigia, il black-out individuale e collettivo. Le periferie fatte di vicoli stretti, sporchi e lasciati all’incuria (“Ancient Ways”).L’italiano e un mini stralcio del maxi-processo alla mafia degli anni ‘80 fanno una curiosa comparsa sul finale di “Breaker 1” facendoci chiedere stavolta dove abbiano voluto andare a parare.
Ultimi colpi di coda mica male sono “Tidal Wave” ammaliante gioco di colori e di synth con un Banks particolarmente ispirato e la chiusa di “Twice As Hard” in scia The National che aggiunge delle impercettibili linee di tastiera.
Il concerto finisce qui, la band si toglie di dosso gli strumenti, si inchina per i ringraziare i tanti accorsi; le luci si accendono, il rumore degli applausi scroscianti invade la sala. Applausi reali e virtuali che riportano gli Interpol in alto tra le uscite degne di nota di questo 2014.


















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