Osservo i miei vicini di posto; quello che lega la rugosa signora e la coppia quarantenne, leggermente appartata sulla destra, è la smorfia che solca i loro volti. Visi sbilenchi, corrucciati, misto di incredulità e schifo come se fosse apparsa la carcassa sventrata di un animale proprio nel sedile accanto. Ma questa reazione istintiva non è rivolta al protagonista de "Gli Equilibristi", ma per noi che veniamo investiti indirettamente dalle immagini.
Il film non ci racconta nulla di nuovo ma ha il pregio di saper mettere in mostra con durissimo realismo quello che spesso viene coperto, messo sotto il tappeto dal pedone di turno armato con un occhiale da sole, un passo veloce che mimetizza mancanza di tempo, un cellulare da masturbare. Mi ritrovo in bocca un sapore amaro, un succo gastrico che risale e cerca di uscire. Il lavoro ci fotografa una storia comune, ma senza moralismo ed in maniera indiretta tira una randellata sui denti che, personalmente, mi ha fatto volare gli incisivi due file in avanti. Fortunamente non c'era nessuno. Osservi e ti rendi conto di quanto siano risibili ed insignificanti quelli che quotidianamente definisci i titanici problemi della tua esistenza. Segui la storia di Giulio, la linea di quella bella immagine della locandina, e come un'inesperta coppia di alpinisti su un ghiacciaio finisci per seguire il protagonista in una caduta disperata e rovinosa. Giù nel crepaccio.
Giulio non frana di faccia, ma lo sdrucciolevole piano inclinato nel quale cammina è troppo per le sue gambe; il fatto che non sia una caduta, ma una lunga ed inesorabile scivolata non lenisce o rende più accettabile il fango nel quale vien presto inghiottito. Questa poltiglia lo blocca, lo fa arrancare e quasi cadere. Giocando con il titolo potrei pure dire tutto ciò che gli fa perdere l’equilibrio. Perché per far tornare i conti dovrebbe diventare un circense esperto, un fottuto funambolo. E’ un’agonia alla quale lui stesso non vuole credere.
Prova ad aggrapparsi a quelle flebili ed anoressiche corde che i cosiddetti amici gli lanciano senza troppa convinzione, come per pararsi il culo nei confronti della coscienza; la bastarda che senza invito busserà (anche se non lo vediamo) la sera, poco prima di andare a dormire. Ma al primo strattone deciso quelle funi scompaiono per non tornare più e così Giulio si trasforma in una di quelle persone per le quali provava una gran pena.
E’ una grande prova recitativa quella di Mastandrea, capace di portare su pellicola un dramma che spesso si vorrebbe nascondere. I dialoghi non sono tanti, ma cazzo se sono affilati. Un solido lavoro (il regista si chiama De Matteo), che pochissimi andranno a vedere e che non scalfirà il luogo comune secondo il quale il cinema italiano è definitivamente morto e bla, bla, bla.
"La Pecora Nera" (2010), "Cesare Deve Morire" (2011), "Gli Equlibristi" (2012) giusto per fare tre nomi. Una cosa li accomuna: i risibili incassi.
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