[Contiene anticipazioni]

In un certo senso i film della trilogia prequel erano più onesti di questo nuovo episodio, più brutti ma più ambiziosi. Non drammatizziamo: il nuovo Star Wars è un film piacevole e tutto sommato ben fatto, ma davvero Abrams e la Disney hanno voluto fare quasi un remake del primo Guerre Stellari. C’è un momento in cui gran parte del pubblico deve essersi trovata in imbarazzo: quando dopo le tante somiglianze, si scopre che esiste una nuova Morte Nera molto più grande delle altre. È lì che ho storto un po’ il naso: va bene ripristinare l’Impero e la Resistenza, va bene mettere il “figlio di” che diventa Sith e la “figlia di” che diventerà Jedi, va bene il pianeta di sabbia e tutto quanto, ma una nuova arma micidiale a forma di pianeta che spara un raggio distruttivo è troppo.

In questo senso meglio parlare de Il remake della Forza; dietro il velo ironico c’è una critica effettiva. È comprensibile che il regista e la casa di produzione abbiano voluto ridurre al minimo i rischi, confezionando un film che è in realtà un biglietto da visita per gli altri cinque, ma davvero si fa fatica a trovare anche un solo elemento di innovazione, non tanto nella trama che è semplice ma solida, quanto piuttosto nella nuova galassia che ci viene raccontata. È qui che si ripensa ai prequel: brutti, molto brutti, ma con tante idee ed invenzioni, dalle astronavi ai robot, ai pianeti e molto altro.

Il risveglio della forza introduce con grande attenzione, in modo chirurgico, tre nuovi protagonisti in un universo che però è esattamente il medesimo della trilogia originale: tre film ci hanno impiegato Luke e compari per sconfiggere l’Impero, ma è tornato più forte di prima. Si poteva fare diversamente, ma alla Disney devono aver pensato che questa situazione massimizza il fascino delle vicende galattiche. E hanno ragione. Ci sono in ballo troppi soldi per rischiare un film che non accontenta la maggior parte dei fan (quelli meno incazzosi) e del pubblico di massa. Se poi anche la critica accoglie il film tra gli applausi, allora tutto sembra andare a gonfie vele.

Per il resto, la narrazione funziona bene, grazie alla costante messa in evidenza dell’obbiettivo del momento: trovare il droide, scappare, distruggere la Morte Nera. Su questa struttura solida Abrams costruisce un ritmo dell’azione ben calibrato, che è uno dei punti di forza della sua regia. Altro pregio è una messa in scena sempre molto compatta, visivamente accattivante, dinamica ma senza diventare caotica. I dialoghi sono altrettanto dosati per non eccedere mai in epicità e al contrario presentano alcuni momenti di ironia spunti meta-cinematografici.

I tre personaggi principali funzionano, in modi diversi. Kylo Ren è la cosa migliore del film, soprattutto dal momento in cui si toglie la maschera e rivela la sua personalità, tra aspirazioni e insicurezze. È la versione più umana di Darth Vader. Il volto di Adam Driver è quello che serviva per Anakin nel II e nel III. Rey è il nuovo Jedi predestinato che sa usare la spada laser meglio di un lord dei Sith. Anche qui, per non eccedere in trionfalismi telefonati si è scelto un personaggio agli antipodi dei luoghi comuni sugli eroi. Una ragazza magrolina, sfruttata, vestita di stracci. La cosa sarebbe funzionata meglio se non ci fossero già stati Anakin e Luke; ma scegliere una donna è una mossa vincente per tenere le carte coperte. Molti infatti avranno pensato che il predestinato sia Finn: devo ancora inquadrarlo bene, è un protagonista di cui non si capiscono molto le origini e gli sviluppi futuri. Mentre quelli di Rey sono chiari, nonostante i camuffamenti: è la figlia di Leia o di Luke, sorella o cugina di Kylo. Su questo non ci piove.

Una nota molto interessante riguarda l’ironia e i diversi livelli diegetici. Ci sono momenti in cui Abrams forza la mano per creare un effetto di straniamento. Quando Poe chiede a Kylo: «Parlo io o parli tu?», oppure in alcuni momenti sul Millenium Falcon quando la comicità diventa quasi iperbolica (la ricerca del nastro isolante). Ma i veri momenti di straniamento riguardano il rapporto con il passato e i film della trilogia originale: i personaggi parlano dei miti come Anakin e i Jedi in un modo che ha molto del meta-cinematografico. Kylo potrebbe essere un fan di Star Wars più che il nipote di Vader (ne conserva feticisticamente la maschera), così come Rey e Finn si fanno confermare da Solo l’esistenza dei Jedi. Il nuovo universo narrativo è molto simile a quello precedente, ma al contempo ne è irrimediabilmente altro, distante. Ne rappresenta una modulazione manieristica. Abrams lo sa e per questo gioca sui piani diegetici: inutile camuffare il palese omaggio, meglio trattarne all’interno del film e imputare ai personaggi la volontà di emulare gli eroi del passato, non tanto al regista. È una strategia molto fine ed furbesca. L’obbiettivo finale è raggiungere Luke, ma ad una lettura diegetica se ne affianca una meta-diegetica: raggiungere l’ultimo Jedi significa ricostruire un universo, ridestare un sentimento comune che si era ormai sopito.

6.5/10

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