Ci sono notti in cui la luna piena è bella come una Sfinge. Notti dove la calma ultraterrena della sua luce è offuscata, filtrata, cesellata, celata e rivelata da nubi di passaggio cariche di presagi e di un qualcosa; un qualcosa che sta compiendo come un ciclo di rotazione, un qualcosa che sta facendo il suo corso.

Né serena, né impassibile. Mentre l'enigma viene proposto la fronte della Sfinge è a sua volta corrucciata, solcata da ombre pesanti: con che genere di Edipo dovrà fare i conti questa volta?

Una desolazione sconfinata, penetrante e interrogativa continuamente sagomata e rimodulata da addensamenti plumbei che le danzano attorno.

Proprio questa perenne alternanza di camuffamenti/svelamenti costituisce il cuore degli undici adagio di "Treny". Fragilissime cartilagini lunari irradiate dalla compostezza sospesa di un piccolo ensemble d'archi; violino, violoncello, uno spettrale contralto e vaghi accenni di pianoforte che insinuano una luce argentea e vibrante tra le maglie di paesaggi raccolti.

Una chamber music vespertina bagnata dai densi e formicolanti dettagli digitali profusi da Michał Jacaszek; un'elettronica oscura, vaporosa, al limite del dark ambient che però non stritola il sound tra le spire di lunghi droni avvolgenti.

Il compositore polacco cerca piuttosto di utilizzare il suo arsenale sintetico per connotare con una ritmica umbratile e sincopata - e pur sempre declinata al letargico - la vita dei sigoli pezzi. Come l'occhio lunare in balìa dei nembi, anche la luce emanata dagli strumenti a corda è sempre in lenta, ma costante evoluzione grazie al gioco di maschere imposto dalle concentrazioni/dilatazioni elettroniche.

E anche se linee di violino o vocalizzi femminili particolarmente intensi fanno a volte pendere l'ago della bilancia verso picchi emotivi di commovente struggimento, il vero pregio di "Treny" è piuttosto una sottile malinconia in bilico tra quieta disperazione e inquieta presa di coscienza.

Come una Sfinge che ponga un enigma sapendo quanto sia irrilevante risolverlo, ma avendo presente quanto sia carico di un qualcosa; un qualcosa che sta compiendo come un ciclo di rotazione, un qualcosa che sta facendo il suo corso.

La vera difficoltà non è sapere se otterremo o diventeremo quello che ci sembra di volere, ma l'assoluta certezza che un tempo eravamo qualcuno che non ritorneremo mai più ad essere.

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