"L'ultima parola. In Viaggio. Nel Jazz."

Mi sono imbattuta casualmente in una piccola casa editrice, Il Maestrale, che ha sede a non più di 100 km da casa mia e ho pensato che curasse artisti nostrani, al massimo scrittori che trattassero della nostra terra: avevo ragione, ma non del tutto.

I volumi pubblicati sono tascabili, molta narrativa, alcuni saggi, ma nella grande confusione, mozzerei le mani di alcuni "lettori", mi trovo davanti a qualcosa di inspiegabile: che ci fa Jack Kerouac qui in mezzo? Rapido calcolo: "Vanità di Dulouz" è del 1968 e "Pic", pubblicato postumo, è del 1972.

Deve esserci un errore: ebbene no, cari lettori di Jack, questi appartati, così definiti dal loro traduttore, sono dattiloscritti e articoli di Kerouac inediti nell'Italia dei primi anni '80, quando capitarono in mano ad Alberto Masala, che poi ne curò la traduzione per la pubblicazione, quasi vent'anni dopo.

Sono racconti di viaggio nell'America che non riesce a diventare la sua casa; centinaia di chilometri percorsi in compagnia di un grande fotografo, al solito on the road; articoli sugli esordi del jazz, con descrizioni così poetiche, o forse insicure, da lasciarti il dubbio sul vero autore; sono incontri speciali, il vecchio Hobo, che con la "sua sofferenza che sembrava impastata nella carne, faccia e collo", lo ha cambiato e lo ha rimesso ancora una volta sulla strada.

Jack Kerouac non può essere definito uno scrittore, almeno non nell'accezione comune: non racconta una storia, la trascrive; non inventa i personaggi, li incontra; non descrive un paesaggio, ci passa dentro; non ama le donne, ama l'amore; cerca la felicità, ma ne parlerà raramente; è come una spugna, assorbe tutto quello che lo circonda, e ce lo restituisce senza invenzioni, esattamente come lo ha recepito.

Dirà in "The Essentials of Spontaneous Prose": "Prima soddisfa te stesso, e poi al lettore non mancherà lo choc telepatico e la corrispondenza significante perché nella tua e nella sua mente operano le stesse leggi psicologiche".

Non credo sia così difficile da credere, la grandezza di un Kerouac non si misura a numero di opere,  o con la accondiscendenza della critica, ma è quello che fa percepire al lettore, che lo rende speciale: semplicemente ti fa sentire parte della storia, potresti raccontarla anche tu, potresti scriverla più o meno nello stesso modo, a volte forse anche meglio.

In questa raccolta non poteva mancare uno scritto di un Paolo Fresu, che ha fatto del jazz la sua vita: piccolo cameo, a chiusura degli articoli.

Il caso ha voluto che il libro mi trovasse, pazienza: la trama non esiste, perciò il mio lavoro è stato di molto facilitato; l'interesse dei cultori di Kerouac, potrebbe trasformarsi in un autogol clamoroso, ma correrò il rischio; l'interesse dei curiosi, quello...  potrebbe essere  un vero problema, ma non il mio.

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