"Alè oh oh, alè oh oh..." intona l'italianissimo pubblico. Così inizia "Live In Italy", testimonianza del breve tour intrapreso da Jaco Pastorius con Bireli Lagrene alla chitarra e Thomas Borocz alla batteria. Uno degli ultimi (l'ultimo?) prima della morte, circa un anno e mezzo più tardi. Jaco non è più quello d'una volta. Inutile negarlo, parte della freschezza del suo sound se n'è andata, seppellita da quell'alcool e quella droga che agli inizi di carriera il bassista rifiutò sempre: "Non ho bisogno di quella roba, amico, sono su di giri già di mio".

Non ne avevi bisogno, ma alla fine hai ceduto e non ne sei più uscito, e nel 1986, con la tua storia che si avvicinava rapidamente alla conclusione, era difficile trovare un ingaggio, seppure tu fossi ancora osannato dalle folle. "C'è ancora posto per un colpo di coda" devi aver pensato fra te e te, e per miracolo ti danno l'ennesima chance e parti per questo tour. A marzo sei in Italia, e suoni. Ok, il tuo livello di tecnica è stato nel frattempo raggiunto da altri, ma tu sei Jaco. Insomma, un regalino d'addio ce lo devi, un bacio della buonanotte. E allora Bireli parte con quella chitarra un po' funky e così profondamente gipsy, improvvisa e improvvisamente distorce, e vai col riffone di "Smoke On The Water". Cosa?!? Niente paura, ci prende per il culo, è solo un intro per "Teen Town". 10 minuti di grande musica, scatenato Lagrene e tu che fai lo Jaco, nonostante tutto. Non sarà come nei giorni di gloria, ma sei pur sempre il migliore e si sente. Né hai perso il tuo eclettismo, che ti spinge in un'audace rivisitazione di "I Shot The Sheriff", con Borocz sugli scudi, insieme a te e Bireli, che sugli scudi ci state dalla prima nota della serata. Poi c'è "Continuum", e qui l'emozione è forte: c'è solo il basso a far vibrare l'aria. Indubbiamente non la migliore versione del pezzo (anzi), però è piuttosto sentita. Come la successiva "Fannie Mae", un classico r'n'b che tu ami spesso suonare, cimentandoti nel canto. Ma qui non canti, non c'è spazio per le parole: per tre minuti e mezzo supporti in walking bass un incredibile Lagrene, che qui dà il massimo. E poi voli, ancora una volta, prima di ripassare la palla a Bireli che riporta il pezzo sulla terra.

Mi sono sempre chiesto perchè a questo punto hai voluto fare "Black Market". Un omaggio al tuo amico-nemico Joe Zawinul? Non lo saprò mai, sta di fatto che lo suoni, e non è che ti venga malissimo, è che senza tastiere il pezzo perde molto. Ma tu lo fai ugualmente e, suvvia, la classe c'è ancora e alla fine Zawinul non può lamentarsi che gli avete rovinato uno dei suoi brani migliori. Magari è il tuo modo per dirgli il tuo solito "Who loves ya, babe?" (in slang americano: "Chi ti ama più di me, amico?"). Dopodichè ci saluti con gli otto minuti di "Satin Doll" e stai pur tranquillo che Duke Ellington non si sta rivoltando nella tomba: il tocco c'è ancora tutto, il talento pure. Dopo questo swingatissimo saluto le luci si spengono, tutti a casa. Morirai un anno e qualche mese dopo questo concerto, e poi che te lo dico a fare, lo sai meglio di me. Ma lasciati dire che il disco è ottimo, senza avere la furia innovatrice dell'omonimo o la bellezza cristallina di Word Of Mouth, senza l'amalgama perfetta con Joe e Wayne. E' ottimo perchè sei sempre Jaco, e sai suonare, e ci metti l'anima, anzi la riversi in ogni nota, la strapazzi, la stupri e poi la coccoli. E lo fai perchè sei il migliore, e qui ce l'hai dimostrato per l'ultima volta. Quanto avrei voluto esserci.

Who loves ya, Jaco?

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