Confusi e assuefatti dal progresso e dalla tecnologia...

 Frase ancora attualissima che però Tati già aveva intuito nel lontano 1958, quando l'inevitabile corsa al progresso stava muovendo i primi passi, soprattutto sottoforma di rivoluzione sociale, economica e culturale.

Un mondo in fermento pronto a concepire nuove idee, prodotti e cose volte alla soddisfazione dell'individuo dando le basi alla più grande invenzione del ventesimo secolo: il consumismo.

 E' con queste basi che Tati costruisce la sua vicenda; siamo in una qualsiasi metropoli francese, spaccata fra tradizione e progresso.

La differenza è ben marcata da un muretto malridotto che separa un tipico quartiere popolare dove la cosa più importante è la componente umana che infonde nello spettatore un calore famigliare e nostalgico.

 Dall'altra parte abbiamo un nuovo quartiere costruito sulle rovine di quello vecchio dove ogni cosa è sterile e fredda, il tutto allegorizzato nell'automaticità d'ogni gesto e interazione.

 Il tramite tra questi due mondi è Monsieur Hulot (interpretato da Tati stesso), dipinge un francese tipico con impermeabile e baguette sotto braccio, va a trovare spesso suo nipote Gerard che vive nel quartiere  moderno, da qui scaturiscono mille vicende che metteno in contrasto i due mondi sottolineando e allegorizzando  l'inutilità della tecnologia (quella non necessaria) e della convinzione del bisogno di quest'ultima.

 Uno sguardo nostalgico al passato e uno più preoccupato al futuro, scene divertentissime che con pochi fotogrammi colpiscono e fanno riflettere, il tutto sempre girandoci attorno un po alla maniera naif e tragicomica di Tati.

 Da vedere assolutamente ...

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