Così come "Oro Rosso" è quotidianità della disperazione, "Il Cerchio" è quotidianità della disparità.

Luogo? Ovviamente, l'Iran.

Si direbbe che Jafar Panahi sia interessato a mostrare, più di eclatanti situazioni-limite comunque presenti nel suo paese, quei subdoli momenti in cui la donna è palesemente, ma sottilmente un gradino sotto all'uomo. Momenti subdoli, proprio perchè accettati come normali. Ecco che Panahi ora ci sta dicendo: "Vedete? Nel mio paese l'ingiustizia è accettata, nessuno concepisce un diverso modo di pensare e vivere". Film quindi al femminile. Donne che si barcamenano fra mille difficoltà in una Tehran che le potrebbe inghiottire. Donne che si tracciano faticosamente un sentiero, tra mille difficoltà, sì.  "Il Cerchio" è un film che, come "Oro Rosso", ha bisogno di molta attenzione, perchè Jafar Panahi non ci presenta una versione dell'Iran semplificata per turisti. Ci presenta l'Iran così com'è, senza molti abbellimenti, senza attenuanti. E' per questo che è un film che fa male, perchè lo guardi e ti rendi conto di come tutto sia naturale, così sedimentato da temer che sia immodificabile.

Una storia che è tante storie, tante vicende che si susseguono, una dietro l'altra, che si passano il testimone per denunciare che c'è qualcosa che non va. Che la mentalità iraniana deve aggiornarsi, deve cambiare. Jafar Panahi descrive la società in modo crudo, lo ripeto, realistico e nonostante tutto facile da comprendere. Basta volerlo, e sarebbe bene che film del genere fossero più visionati. Ne abbiamo bisogno, bisogno di capire. Affinchè loro cambino, affinchè noi cambiamo.

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