Ahhh la Norvegia!!! Che terra affascinante; gelida culla di un popolo civile e rispettoso, nutrice di interessanti fermenti e realtà musicali che affondano le loro radici in una cultura ad ampio raggio, e, almeno nelle sue manifestazioni più palesi, in perenne rinnovamento.

Tra le proposte che hanno avuto modo di alimentare il sostrato culturale - musicale scandinavo, un ruolo di primo piano è sicuramente giocato dai Jaga Jazzist, originale ensamble che è riuscita a convogliare in un unico centro creativo, musicisti dalle disparate influenze (jazz in primis, ma anche elettronica, acustica, rock, ambient ecc.) e che ruota attorno all'estro compositivo di Lars Horntveth, peraltro fondatore del complesso.

Della non particolarmente prolifica carriera quasi quindicennale dei Jaga segnalo e consiglio vivamente "A Livingroom Hush", dato alle stampe nel 2001 per l'etichetta Ninja Tune, in quanto si tratta di un'opera completa, ben arrangiata, che offre una panoramica lucida ed appagante dell'universo sonoro Jaga Jazzist.

Nella concezione organica dell'opera, l'uso del jazz come matrice unificante non va a definire spazi permeati da un'improvvisazione portata alle estreme conseguenze; è anzi assolutamente funzionale alla costruzione di melodie semplici e d'effetto, spesso dolci, a volte più istrioniche, altre volte palesemente sfrontate, ma in definitiva incredibilmente brillanti.

Tra sprazzi di elettronica e rapide progressioni armoniche parte "Animal Chin", frizzante e compulsiva nel suo incedere, ottimo esempio insieme a "Midget" di come i Jaga sappiano regimare le potenzialità dell'elettronica e dei sintetizzatori senza scadere nel prolisso. Nemmeno il tempo di realizzare che le danze hanno avuto inizio, che un'affascinante "Going Down" emerge, attraverso delicati intrecci di chitarra acustica arpeggiata e sax, trainati da una pulsione ritmica decisamente incalzante, in cui basso e batteria risultano essere perfettamente simbiotici ed incastrati. Destreggiandoci tra le dondolanti oscillazioni della calda ed estemporanea "Press Play" giungiamo poi ai delicati sussurri ipnotici di una ammiccante "Airborne", brano con un incipit fugacemente rilassato, che acquista sempre più slancio ed intensità, grazie al prezioso inserimento in serie di un contrabbasso dagli accenti accattivanti e di una sezione di archi (abili a creare lo spazio per un geniale sfogo di sax), per sfumare nuovamente in quella caratteristica, impalpabile quiete iniziale, spegnendosi in un vortice decrescente di sensualità musicale.

A parte la grezza e graffiante "Real Racecars Have The Doors" (in cui distorsioni e deliri di tastiere sono perfettamente controbilanciati da spunti jazz molto eleganti), in brani come "Low Battery", in parte "Lithuania" e la superba "Made For Radio" si rivela il lato più romantico e di sicuro impatto dei Jaga, condito da atmosfere rarefatte e cristalline, che rendono tutto come sospeso e fluttuante. A chiudere l'ampio range emotivo suscitato ed evocato dall'ascolto ci pensa la struggente e riflessiva "Cinematic", vero emblema del pathos allo stato puro, ed ultimo tassello di un mosaico iridescente nella sua genuina spontaneità.

Giunto quindi al termine di questa breve escursione non posso che ribadirvi il mio consiglio di ascoltare non solo questo album, ma anche gli altri lavori dei mitici Jaga (soprattutto "The Stix" e l'ultimo "What We Must" più che degnamente recensito su questo sito).

Se siete in cerca di grande musica vi garantisco che non ve ne pentirete.

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